Uno strano visitatore
A Vilna, in tutto il Bet-Midrash, non era insolita la presenza di Ebrei estranei alla città. Alcuni erano semplici mendicanti, altri erano uomini di condizione umile andati via a raccogliere dei soldi per costituire la dote di una figlia in età da marito. Altri ancora erano eruditi pii che si sottoponevano volontariamente a un periodo di “esilio” nello scopo di purificare la propria anima e il proprio corpo. Ma, un giorno, lo straniero che entrò in una delle sinagoghe di Vilna non poteva essere collocato in nessuna di queste categorie.
Di solito, lo shamash poteva immediatamente e con una sola occhiata situare ogni straniero e indovinare persino la sua attività professionale. L’uomo in questione sembrava un baal-habait, uomo d’affari o forse un negoziante. Quindi lo shamash rimase stupito che le straniero fosse venuto al Bet-Hamidrash nel bel mezzo della giornata (era di giovedì), si fosse seduto in un angolo appartato e si fosse immerso in una Ghemarà dondolandosi da un lato all’altro. Trascorsero due ore. Lo straniero chiuse la Ghemarà, si lavò le mani e si rimise seduto per consumare il suo pasto che era molto leggero e composto unicamente di pane e di un pezzo di aringa che egli lavò con l’acqua.
Lo shamash fingeva di essere assorto dalla lettura di un libro sacro; in realtà, osservava lo straniero con la coda dell’occhio. Alla fine, andò verso di lui. L’altro non aveva finito di mangiare. Lo shamash gli tese la mano dicendogli : “shalom alechem” e chiedendo se gli doveva prenotare un letto nel Centro di Accoglienza o se preferiva andare a casa di un privato.
Lo straniero rispose che non gli occorreva niente. Aveva di che mangiare e in quanto all’alloggio, il Bet-Hamidrash gli sarebbe bastato ampiamente.
Verso sera, quando cominciarono ad arrivare i fedeli per la funzione di minchà, tra di loro c’era uno degli uomini più in vista della comunità, un uomo ricco a casa del quale lo shamashmandava sempre uno straniero per trascorrere lo Shabbat. Questa volta, non fu facile per lo shamash: c’era un solo straniero al Bet-Hamidrash e questo rifiutava ogni invito.
Solo per i pasti
Comunque, l’influente membro della comunità andò verso di lui, lo salutò con il consueto “shalom alechem” e l’invitò a casa sua per Shabbat. Lo straniero diede la stessa risposta che aveva dato allo shamash: aveva da mangiare e si sarebbe accontentato del Bet-Hamidrash per la notte. Ma l’altro era determinato nel non cedere di fronte a questo rifiuto. Eh no! Un Ebreo non poteva rimanere da solo, tra i suoi fratelli per giunta, e di Shabbat! Senza dimenticare che non poteva privare deliberatamente un correligionario della grande mitzvà di hachnassath orchim, l’ospitalità.
Lo straniero fu in parte convinto da queste argomentazioni e accettò un compromesso: avrebbe accettato l’invito per i tre pasti di Shabbat ma sarebbe rimasto a dormire al Bet-Hamidrash.
Durante il primo pasto, il venerdì sera, il padrone di casa iniziò con il suo ospite una conversazione riguardo argomenti di Torà e fu felice nel costatare che si trattava di un uomo pio, erudito e umile. Questo contatto fu molto piacevole sia per l’uno che per l’altro. Ma a un certo punto, il padrone di casa divenne triste e sospirò profondamente, l’ospite non disse nulla per discrezione. Successe lo stesso durante il secondo pasto e anche durante il terzo pasto. Alla fine di Shabbat, il padrone di casa invitò lo straniero a rimanere per la cena di “Melavè Malkà”, la cena post Shabbat quando si saluta la Regina Shabbat. L’uomo accettò. A un certo punto, come durante i pasti precedenti, il padrone di casa sospirò profondamente. Non resistendo oltre, l’ospite chiese quale fosse la causa della sua tristezza; doveva avere grossi problemi per sospirare in questo modo….
Un suggerimento
Allora, il padrone di casa aprì il suo cuore. In seguito a una terribile calunnia, lui e il suo socio erano stati accusati a torto per un crimine che non avevano commesso. Anche se erano innocenti, un giudice che non amava gli Ebrei aveva dato il suo verdetto condannandoli a un pesante periodo dì incarcerazione e a una forte multa. Avevano fato appello e il caso doveva essere discusso di nuovo ma le prospettive non erano rosee.
A quel punto l’ospite rivelò che era un chassid, un discepolo del famoso Rebbe Shneur Zalman e che stava proprio facendo un pellegrinaggio a Liozna dove viveva il Rebbe.
“Se voi mi voleste dare ascolto”, disse lo straniero, “potreste fare un salto dal Rebbe e chiedergli consiglio e benedizione. Sono certo che egli vi aiuterà.”
“Non vedo come, rispose il padrone di casa. Ma lo dirò al mio socio e se egli è d’accordo, andremo tutti e due dal Rebbe.”
L’indomani, il chassid andò via , il padrone di casa andò a trovare il suo socio per sentire che cosa pensasse della proposta dello straniero.
In quel periodo, il movimento chassidico non era molto popolare e i chassidim erano visti con sospetto. Si pensava, erroneamente, che non erano molto rigorosi nel osservare i precetti religiosi. Per cui, il fatto che il socio non desiderasse essere scambiato per un chassid non deve stupire. I due uomini decisero che avrebbero prima chiesto il suo parere al capo della comunità, il Rebbe Meir Refaels, la quale conoscenza della Torà e la grande saggezza erano conosciuti da tutti. Egli aveva tentato di aiutarli in questo processo ma non aveva potuto fare molto. I due soci gli avrebbero chiesto se approvava una loro visita al Rebbe di Liozna.
Il Rebbe Meir Refaels non era un chassid. Anzi, era il capo degli oppositori al movimento chassidico. Ma sorprendendo i due uomini, egli disse che non sarebbe stata una cattiva idea. Dopo tutto, che cosa c’era da perdere?
Un occasione unica
Se i due uomini avessero saputo della strana e recente esperienza che aveva vissuto il Rebbe Meir Refaels, il suo cambio di comportamento concernente il Rebbe non li avrebbe sorpresi. Ma il capo della comunità non li disse che egli stesso era stato l’improvviso strumento grazie al quale il Rebbe aveva potuto salvare una agunà, una donna che non sa dove sia il marito e quindi non può risposarsi. Da allora il Rebbe Meir Refaels era mutato radicalmente, benché non fosse ancora abbastanza convinto di diventare un chassid vero e proprio. Con la visita dei due soci, si presentava un’occasione unica per testare di nuovo il potere del Rebbe. Il Rebbe Meir rigirava tutti questi pensieri nella testa ma non disse niente limitandosi a ripetere ai due uomini che la loro situazione era grave e solo un miracolo li poteva salvare. Lui, il Rebbe Meir, non faceva miracoli, forse il Rebbe sì. E poi, ancora una volta , che cosa c’era da perdere?
Una frase oscura
I due soci si avviarono verso Liozna. Il Rebbe li accolse e loro gli raccontarono in che situazione disperata si trovassero. Il Rebbe rispose: “Vedo che siete uomini con sapere toranico e conoscenze generali molto grandi. Potete dirmi il significato delle parole dei nostri Saggi: “Il regno terrestre è simile a quello celeste? In quale modo il regno di un re umano può essere simile a quello del Re dei re, l’Unico, benedetto Egli sia?”
I soci si guardarono ma non seppero che cosa rispondere.
“Ve lo dico io”, fece il Rebbe. “Quando l’Eterno apparse per la prima volta a Moshe e gli disse di andare dai Figli d’Israele a spiegare che il D-o dei loro padri li avrebbe liberati dal giogo degli Egiziani, Moshe fece questa domanda: ‘E se mi domandassero: qual è il Suo Nome? Che cosa potrei rispondere?’ D-o rispose che il Suo Nome era un mistero, che la Sua presenza era evidente in tutto il mondo, ma che non doveva essere pronunciato il Suo Nome. Non è grazie al Suo Nome, ma grazie alle Sue azioni che D-o viene riconosciuto nel mondo. Non possiamo parlare che della Maestà Divina. Allo stesso modo, anche se un re umano ha un nome personale, non viene chiamato col nome, ma con “Sua Maestà” oppure “Sua Maestà Imperiale”. Anche se i sudditi non conoscono il re personalmente e non lo possono chiamare col suo nome, si sottomettono alla sua corona con rispetto, amore e dedizione. Ora, tornate a casa. Abbiate fede in D-o e siate certi che Egli vi aiuterà.”
Un po’ turbati, i due soci si congedarono dal Rebbe. Tuttavia sentivano una certa delusione. Il Rebbe non aveva dato nessun consiglio, aveva detto solo parole di Torà che non avevano nessun nesso apparente con la loro drammatica situazione. Bene, avevano ora il significato delle parole del Rebbe ma come tutto questo li avrebbe tirati fuori dalle difficoltà?
Erano sempre più delusi e cominciarono a pensare che avevano perso il loro tempo. Tornati a Vilna, andarono a trovare il Rebbe Meir Refaels. Gli raccontarono quello che era successo ma egli fece spallucce senza replicare. Un pensiero gli passò per la mente: “Forse mi sono sbagliato!”
Stava arrivando il giorno del processo. I due soci si recarono a Pietroburgo, la capitale. Gli avocati non nutrivano nessuna speranza. Al massimo, avrebbero potuto ottenere una riduzione della pena. Però un avocato li suggerì di andare prima del processo dal ministro e di presentare una richiesta.
L’incontro col ministro
Fecero una piccola indagine e seppero che, ogni mattina, il ministro soleva passeggiare nel parco prima di recarsi al ministero. Quindi andarono di buon ora sul percorso della passeggiata e aspettarono che comparisse l’uomo che aveva in mano la loro sorte.
Ma sentendosi poco bene, il ministro non fece la solita passeggiata. Successe anche che il ministro dell’Istruzione che a volte attraversava lo stesso parco venisse al posto suo. I due soci gli si avvicinarono; dopo essersi scusati per il disturbo, gli raccontarono il loro problema e si lamentarono dell’iniquità di un verdetto che, se confermato, li avrebbe rovinati.
“Signori, state facendo un errore”, rispose con stizza il ministro. “Vi dovete rivolgere al mio collega, il ministro della Giustizia. Io sono il ministro dell’Istruzione.”
Quindi, lasciando stupefatti i due soci si allontanò.
Qualche minuto dopo, venne di corsa il custode del parco che disse: “Il signor ministro vi vuole vedere subito. Venite con me.” Li portò verso una panchina sul quale era seduto il ministro. Questa volta, quest’ultimo li parlò con maggior cortesia:
“Vedo che siete degli Ebrei colti. Se siete capaci di rispondere alla domanda che vi farò, vi prometto di sottoporre io stesso il vostro caso a Sua Maestà Imperiale e di chiedere la vostra grazia. Ecco: l’altro giorno, Sua Maestà ci chiese a me e ai miei colleghi di spiegare una frase che egli aveva trovato e che era tratta dal vostro Talmùd. Eccola: ‘Il regno di un re umano sulla terra è simile a quello del regno celeste. E il sovrano finì con questa domanda: In quale modo i due regno sono simili?’ Nessuno di noi seppe dare una risposta. Lo potete fare voi?”
I due soci mostrarono in viso una gioia infinita. Si ricordavano la recente visita che avevano fatto al Rebbe di Liozna e avevano una risposta bella e pronta. Furono anche leali nel rivelarne la fonte al ministro.
Una felice conclusione
Quest’ultimo ne fu profondamente colpito e manifestò la speranza di incontrare un giorno il santo Rebbe. Li garantì che potevano stare tranquilli perché sarebbe intervenuto presso Sua Maestà nel loro favore. E li lasciò lì felice all’idea di raccontare una meravigliosa storia al sovrano.
Erano ancora più felici i due soci di fronte alla miracolosa conclusione del loro dramma. Impazienti di andare a trovare il parnass (Capo della Comunità), il Rebbe Meir Refaels, tornarono a Vilna. Questa volta quest’ultimo non ebbe più nessun dubbio. Senza perdere altro tempo, si recò a Liozna. Da questo giorno, fece parte dei più ferventi e fedeli discepoli dell’Admur Hazaken.
Tratto da Pocket Torah, una pubblicazione di Chabad Piazza, a cura di Chabadroma.org
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