Con la parashà di questa settimana ha inizio il quinto libro della Torà: Devarim (Deuteronomio).
In esso Moshé ripercorre insieme al popolo le vicende che si susseguirono nei quarant’anni trascorsi nel deserto.
Uno degli avvenimenti trattati ampiamente è l’episodio dei dodici esploratori che Moshé aveva mandato in ricognizione in terra di Canaan.
«È un paese che divora i suoi abitanti» dissero questi.
Per quale motivo gli esploratori riuscirono a spaventare il popolo con la descrizione di Canaan e dei suoi abitanti? Gli ebrei avevano assistito tutti di persona ai grandi miracoli che D-o aveva compiuto per loro quando avevano lasciato l’Egitto e a quelli che, giorno per giorno, si erano verificati nel deserto. Avevano ricevuto il pane dal cielo (la manna che cadeva regolarmente), l’acqua dalla “Sorgente di Miriam” (una roccia che li seguiva nel loro viaggi e forniva loro acqua fresca di fonte); avevano anche visto il potente esercito egizio perire fino all’ultimo uomo nelle acque del Mar Rosso, che D-o aveva prima diviso per loro.
Non dovevano forse comprendere che H-shèm avrebbe compiuto miracoli simili pure contro i cananei?
La chassidut spiega le parole degli esploratori in un modo che ci permette di intravedere meglio i motivi del loro atteggiamento.
Era loro opinione che, per gli ebrei, la vita che avevano condotto fino ad allora fosse la sola possibile. Completamente estranei al mondo esterno, la loro resistenza era stata garantita solo tramite mezzi miracolosi. Entrando in terra di Canaan, la loro vita sarebbe stata del tutto differente. Nel nuovo ambiente non sarebbero intervenuti fattori soprannaturali, ma gli ebrei avrebbero dovuto condurre una vita normale e lavorare per il proprio sostentamento.
Queste nuove condizioni di vita, affermavano gli esploratori, non avrebbero consentito agli ebrei di rimanere fedeli alla loro religione. È questo che essi intendevano dire con le parole: «È una terra che divora i suoi abitanti».
Intendevano, cioè, che vivendo in terra di Canaan sarebbero stati “inghiottiti”: sopraffatti completamente ed assorbiti dalle occupazioni terrene di ogni giorno. La religione avrebbe avuto perciò inevitabilmente un ruolo secondario e di scarsa importanza. Tuttavia gli esploratori sbagliavano. Gli eventi soprannaturali che accompagnarono la vita degli ebrei nel deserto, e che essi avevano considerato per errore fine a se stessi, erano invece una preparazione all’esistenza normale nella terra di Canaan, ove gli ebrei avrebbero realizzato l’ideale di una vita ispirata alla Torà.
L’errore commesso dagli esploratori è il medesimo tragico fallo di chi afferma che la religione si professa in sinagoga e non fuori, nel mondo. Costoro asseriscono che la sinagoga è il luogo in cui ci si deve per comportare ebraicamente – cosa che, naturalmente, risulta assai facile – mentre la religione sembra loro incompatibile con le occupazioni pratiche e i rapporti sociali. Tuttavia, ciò non è vero: siamo stati creati per vivere in questo mondo materiale, come parte della società umana, ma è necessario dire anche che è nostro dovere purificare e nobilitare, con l’osservanza della Torà, tutti gli aspetti della vita terrena, finché questo mondo diventerà un luogo degno di D-o (Tanchuma Nassò 16; Bechuqotai 3; Bereshit Raba 3). Un mondo nel quale Egli possa far sentire la sua presenza.
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