Di seguito riportiamo una lettera che il Rebbe, due anni dopo aver accettato la carica di guida spirituale, scrisse agli studenti delle yeshivòt in occasione della festività di Péssach, il cui contenuto è valido in qualunque periodo dell’anno e deve essere inteso come un insegnamento generico rivolto a tutto il popolo ebraico.

11 nissàn 5712 (1952)
Brooklyn, N.Y.
Agli studenti delle yeshivòt,
Shalòm Uvrachà!

Con il permesso dei rabbini che dirigono le yeshivòt, con la presente mi rivolgo a voi tutti, amici miei, studenti delle yeshivòt, aggiungendo questo scritto a quello del capomese di nissàn.

La festività di Péssach – possa cogliere nel bene tutto il popolo di Israèl – inizia con il Séder, momento in cui ogni persona deve “tremare per la riverenza nell’eseguire le parole dei saggi, che hanno istituito la mitzvà del Séder e della lettura della Haggadà...

”1.

La Torà allude a quattro figli in relazione al precetto di raccontare ai posteri l’uscita dall’Egitto2: uno saggio e uno malvagio e uno ingenuo e uno che non è in grado di porre domande. L’autore della Haggadà ha posto il malvagio accanto al figlio saggio, aggiungendo la congiunzione vav (“e”): e uno malvagio.

Ciò significa che: a) c’è speranza anche per il malvagio. Hashèm infatti gli concede il saggio, che può influire positivamente su di lui e lo può aiutare a migliorare a condizione che voglia unirsi a lui e sottomettersi a ciò che rappresenta; b) il saggio non può dire: «Cosa ho a che vedere io con il malvagio?!?» poiché tutti gli ebrei sono legati fra loro e responsabili uno dell’altro, e ognuno ha il compito di aiutare il prossimo a migliorare. Questo, però, senza dimenticare che è il malvagio a dover imparare dal saggio e non il contrario; c) il saggio deve sempre ricordare che il peccato è costantemente in agguato3; deve ricordare che se in un certo senso è superiore agli altri, anche la sua cattiva inclinazione è più forte di quella altrui e che il malvagio che è in lui insidia il giusto e desidera ucciderlo4. Deve perciò essere molto meticoloso con se stesso e chiedere misericordia ad Hashèm affinché lo aiuti, poiché solo così potrà sopraffare il malvagio che ha in sé.

Se il saggio deve impegnarsi ad aiutare il malvagio (sempre con l’opportuna cautela), ciò vale a maggior ragione per l’ingenuo e per colui che non è neppure in grado di porre domande. Anche davanti a loro, e non solo al malvagio, è impiegata la congiunzione vav, che secondo lo Zòhar è la lettera della Torà e della verità. Se il saggio riesce ad avvicinarli, a unirli, a purificarli e a elevarli, allora viene soddisfatta la nostra richiesta: benedici tutti noi, Padre nostro, come se fossimo uno solo

, come avvenne quando Hashèm diede la Torà al suo popolo, al cui proposito è scritto7: Israèl si accampò là, impiegando un verbo al singolare.

Fu la Torà lo scopo dell’esodo dall’Egitto; infatti è scritto: quando farai uscire il popolo dall’Egitto, servirete Hashèm su questo monte. Poi sopravvenne il peccato (del vitello d’oro, n.d.t) e gli ebrei e il mondo sprofondarono nella materialità. Tramite lo sforzo attuale, però, noi possiamo nuovamente purificare ed elevare il mondo, finché, nei giorni del Messia, questo processo di perfezionamento sarà finalmente concluso, la materialità del corpo e del mondo sarà purificata e si rivelerà la gloria di Dio.

Menachem Mendel Schneerson