“Rabbi Elazàr dava sempre una moneta d’argento a un povero e solo dopo cominciava a pregare.”

Il Santuario di Gerusalemme possedeva una struttura corrispondente a quella dell’essere umano. Le stanze e mobili hanno gli equivalenti nei diversi membri e facoltà che compongono l’essere umano. Come lo puntualizzano i nostri Saggi, quando Hashèm disse a Mosè: “E mi faranno un santuario e Io risiederò in essi” (Esodo 25,8), Egli non dice risiederò “in esso” (nel Santuario), bensì “in essi” (nei santuari interiori di tutti i Bené Israèl). In altri termini, sebbene il Tempio fosse il luogo centrale del servizio divino dell’uomo, nonché il luogo nel mondo dove l’essenza della Divinità era più percettibile, l’obiettivo del servizio consisteva nell’applicazione della coscienza e dell’esperienza che emanava dal Luogo Santo in tutti gli aspetti della sua vita quotidiana. Ogni utensile del santuario e ciò che si compiva in esso è correlato al modo col quale l’uomo conduce la sua vita e serve il suo Creatore. I servizi eseguiti si suddividono in due categorie: i servizi interni nel senso stretto, ovvero nell’"Hechàl", e i servizi esterni nel cortile, chiamato “Azarà”. A livello individuale questi si traducono nelle due dimensioni globali del comportamento umano: lo sviluppo interiore e spirituale paralleli all’esteriorità della vita, degli sforzi dell'uomo volti a raffinare il suo essere corporeo e dei suoi impegni nei confronti dei prossimi e della società.

LA VIA DELLA FIAMMA.

L’istinto suggerirebbe spianarsi la via strada dall’interno verso l’esterno. In primis, l’essere umano si concentrerà sui bisogni esteriori dell’anima e, in una seconda fase, sull’ascolto delle esigenze esteriori. Giunto ad una pace interiore, egli potrà influenzare gli altri. “Prendi cura del fuoco che arde nel tuo camino prima di preoccuparti di illuminare la società” sarebbe tentato di pensare. Ma nel Santuario le cose funzionano nel senso opposto. Il giorno comincia con l’accensione del Mizbèach Hachitzòn, l’altare esterno collocato nel cortile. La Legge della Torà si spinge oltre e si domanda persino se l’altare interno e la Menorà-il candelabro non debbano essere accesi dai lumi che provengono dall’altare esterno. La Menorà dai sette bracci rappresenta la saggezza divina della Torà. Il Mizbèach Hachitzòn simboleggia il raffinamento che l’uomo fa delle sue sue più alte facoltà spirituali. Ma la golosità spirituale non è meno egocentrica ed egoista di quella che consuma la materialità e colui che si concentra esclusivamente sulla concretizzazione delle sue buone azioni, quand’anche ai fini più nobili e spirituali, egli cambia l’ordine delle cose e mette sottosopra il suo Santuario interiore.

ANDARE VERSO L’ALTRO CHE È IN NOI

Più l’uomo è dotato di ricchezze morali più è in grado di farne usufruire gli altri. Tuttavia, se un uomo si rende conto delle sue lacune può risultargli difficile di colmare quelle degli altri. Eppure egli deve essere consapevole che le necessità altrui non devono essere ignorate col pretesto di dover innanzitutto occuparsi di rifinire le proprie imperfezioni. E spesso si riscontra che dare agli altri consente di migliorare se stessi: un messaggio sarà meglio percepito e più profondamente compreso se l’altro vedrà che la stessa peculiarità fa parte integrante della persona che glielo trasmette. Ma infondere coraggio al prossimo in momenti di crisi ci dà la possibilità di attingere a fonti di fede assopite, a forze che non sospettavamo di avere. In questo concetto risiede la lezione implicita della Menorà e dell’altare interiore che venivano accesi con i lumi che ardevano nel cortile: andare verso gli altri, l’altro che è in noi (il nostro corpo) e l’altro nel senso stretto, colui la cui vita può ancora essere migliorata se le apportiamo la luce e il calore di cui ha bisogno. Queste azioni altruistiche di illuminazione accenderanno a loro volta “i fuochi delle case” nelle stanze interne del nostro Santuario personale in modo tangibile e definitivo. Lo studio della Torà e la preghiera intrideranno la nostra mente e il nostro cuore di un vero legame con l’Onnipotente.