Consacrerete il cinquantesimo anno e proclamerete libertà nella terra per tutti i suoi abitanti: è il Giubileo (Vayiqra 25, 10).

Questo versetto si riferisce alla mitzva dell’emancipazione degli schiavi che deve avvenire nell’anno del Giubileo. Se una persona, a causa di debiti non saldati o di qualsiasi altra questione economica fosse stata costretta a rendersi schiava di un’altra, senza alcuna condizione sarà rimessa in libertà nell’anno del Giubileo. Dal momento che un netta minoranza del popolo ebraico si veniva a trovare nella condizione di schiavi da emancipare, perché la Torà dice: proclamerete libertà nella terra per tutti i suoi abitanti? La maggior parte degli abitanti era già libera! Il Pené Yehoshùa spiega il passo analizzandolo, assai profondamente, dal punto di vista psicologico. Lo stato di schiavitù non priva della libertà solo colui che è schiavo, ma anche il padrone stesso. Una persona che domina sugli altri non è veramente libera a sua volta, come osserva correttamente il Talmud: colui che acquista uno schiavo acquista un padrone su di sé (Kiddushìn 20a).

La schiavitù più grande si ha quando si è sottomessi al proprio ego. Chiunque desideri esercitare il suo controllo sugli altri è portato fatalmente a essere, a sua volta, dominato da questo suo stesso desiderio e dalla necessità, una volta raggiunto lo scopo, di mantenere il potere, quindi non sarà mai una persona libera. L’individuo veramente libero è colui che non desidera esercitare alcun controllo sugli altri. Una persona psicologicamente matura capisce quale enorme impresa sia controllare se stessa e si occupa, quindi, di esercitare prima di tutto l’autocontrollo non avendo poi energie e tempo, o semplicemente interesse e desiderio per dominare anche gli altri. Ma come comportarsi quando la schiavitù, quindi il dominio sull’altro, non è voluta, ma è il risultato di pagamenti insoluti che hanno costretto il debitore ad andare schiavo? Come si riflette questa situazione sul carattere di colui che si ritrova a essere padrone? In primo luogo è necessario tenere conto della mentalità di chi compera uno schiavo, perché colui che deliberatamente decide di esercitare un controllo su un altro essere umano certamente non si trova nel medesimo stato psicologico di colui che, per altre cause non volute da lui stesso, si ritrova a essere padrone di uno schiavo. In secondo luogo tutto ciò trova riscontro nella società, nell’ambiente circostante. Una società sviluppata trova mezzi alternativi affinché i suoi membri non siano costretti a rendersi schiavi del proprio prossimo. La Torà dice con enfasi: …i figli di Israèl sono miei schiavi, che ho tratto dalla terra dell’Egitto (Vayiqra 25, 55), in altre parole: “Sotto di Me (il Signore) sono schiavi e per questo non possono essere venduti come schiavi”. La dignità di una persona è nel suo essere asservita a D-o. Una società che rende necessario a un suo membro il divenire schiavo, per qualsiasi ragione, fallisce nella sua opera di tutela dei diritti dei cittadini. Quando gli schiavi vengono posti in libertà e quando questo stato, quindi, è un privilegio di ogni singolo, solo in quel momento tutti gli abitanti saranno veramente liberi.