Allo scopo di rivelare l’unità e l’armonia soggiacenti in natura, la scienza si trova di continuo a ritornare alle origini dell’universo, al giorno primordiale. Nel suo status attuale, l’universo è troppo freddo e troppo solido per trovarvi una manifestazione di questa unità; solo nell’ambito dell’energia e del calore che regnavano all’inizio del tempo e dello spazio era verosimile che tutte le forze e gli elementi della natura si fondessero in un’unitarietà. Queste sono le premesse alle teorie base del “Big Bang”. Se si volesse andare oltre e ricercare un’unità ancora più profonda, quella che lega l’“esistenza” alla “non esistenza”, diventa necessario ricorrere a teorie più astratte, quasi metafisiche.

La ricerca dell’unità comincia dal principio comunemente accettato nella fisica moderna per cui il tempo condivide una “geografia” comune con lo spazio: come tutti i punti nello spazio esistono lungo un singolo continuum, così accade per tutti i punti del tempo – passato, presente e futuro – che sono simultaneamente distribuiti all’interno di una stesse rete.

Secondo molti, il processo cosmologico che ha prodotto questa continuità spazio-temporale si è sviluppato in quattro fasi, di cui solo l’ultima è quella del “Big Bang”. All’inizio, le proprietà matematiche e le relazioni che governano la dimensione spazio-temporale dovevano essere definite, ossia create. Successivamente, in un lasso di tempo pari a un istante, “qualcosa” ne è spontaneamente emerso. A quel punto, si è prodotta una potentissima deflagrazione dell’universo mentre esso si espandeva. Infine, la potenza del “Big Bang” ha sprigionato tutta la sua spinta da un singolo punto all’interno dell’universo deflagrato. Da qui in poi, in maniera infinitamente più lenta, ha cominciato ad espandersi l’universo come ci è noto, congelandosi nella condizione attuale mentre i suoi elementi strutturali si raffreddavano.

In termini kabalistici, queste quattro fasi corrispondono alla sequenza delle quattro lettere che compongono l’ineffabile Nome di D-o – Yud, Hei, Vav, Hei – il modello su cui si basa ogni intercessione tra D-o ed il creato. La prima lettera del Nome, la Yud che assomiglia ad una scintilla, rappresenta la contrazione iniziale (chiamata tzimtzùm) della luce Divina da cui si è prodotto il vuoto primordiale di spazio e tempo. La seconda lettera, la Hei che si espande nello spazio, rappresenta la prima comparsa di creature ex nihilo. La terza lettera, la Vav che è lineare e corrisponde al valore numerico di 6, simboleggia l’improvvisa estensione di queste creature nelle sei direzioni spaziali; essa allude alla teoria secondo la quale esistono sei ulteriori direzioni spaziali, che sono in realtà comprese nelle quattro comunemente identificate. Infine, la ripetizione della lettera Hei alla fine del Nome di D-o allude ancora all’idea di espansione, che si riferisce questa volta all’espansione finale dell’universo che si è assestato nel modo voluto dal piano Divino.

L’assunzione di un’unità soggiacente nel creato porta con sé la concomitante credenza in un perfetto stato di simmetria che ha caratterizzato il nascente universo. Con il progredire dello stadio della creazione, questa condizione iniziale di simmetria sembra rompersi; di conseguenza, qualsiasi cenno di ritorno all’unità primordiale della creazione sembrerebbe implicare anche un corrispondente ritorno alla massima simmetria.

L’ultimo verso della Parashà di Bereshìt (Genesi 5,8) cita la parola chen (grazia) che Noach (Noè) ha trovato agli occhi di Dìo. Nel pensiero chassidico il termine chen è inteso come la speciale gentilezza e la bellezza che derivano dal possedere un’innata simmetria. Ai suoi tempi Noach rappresentava l’ultima traccia di grazia rimasta nella creazione dopo il declino morale che portò al diluvio; egli era considerato agli occhi di D-o come una fonte di chen e le lettere ebraiche del suo nome – la Nun e la Chet – lette al contrario formano la parola chen. Il fatto che Noach abbia trovato chen agli occhi di D-o significa che in lui è stata identificata la simmetria nel creato sufficiente a suscitare la compassione Divina ed a salvare il mondo dalla distruzione totale. La pupilla dell’occhio si chiama in ebraico ishon, letteralmente “piccolo uomo”, e forse ciò allude all’immagine di Noach che occupava il centro della visione Divina mentre il Signore assestava il futuro del Suo creato.

In genere la Torà considera l’occhio come il criterio di valutazione di chen. Il ruolo che la simmetria gioca nel processo della prospettiva visiva è chiaramente espresso dalla funzione delle lenti che producono sulla retina un’immagine invertita dell’indicazione visiva, che solo dopo viene rielaborata dal cervello in modo da produrre l’immagine rettificata che noi effettivamente vediamo. Questo dimostra che il modo per scoprire il chen nascosto nell’universo è quello di provare a visualizzare una realtà “invertita”, in cui la Divinità (che è nascosta nella materialità) risulta pienamente rivelata mentre l’aspetto fisico della creazione resta un’astrazione.

<<p>La Discesa e l’Ascesa

“Tutte le strutture fisiche tendono verso il loro più basso livello di energia”: questo è uno dei postulati della fisica moderna e si rispecchia nella dottrina Kabalistica della “discesa dei mondi”. Essa consiste nella visione secondo cui la creazione è vista come una progressiva discesa dall’energia infinita della Divinità fino alla materialità. Lo scopo ultimo di questa discesa è quello di dare a D-o una dirà betachtonìm – una dimora nei regni più bassi, dove la Gloria del Suo Regno possa diventare manifesta in virtù dell’effetto che il nostro impegno nella Torà e nelle Mitzvot ha sul creato.

La rivelazione della Maestà Divina che porterà alla rettifica finale del nostro mondo fisico offuscherà qualsiasi precedente rivelazione della Divinità nella storia. Per questo motivo, la “discesa verso la materialità” ha sopraffatto lo stato iniziale della sublime simmetria che ha caratterizzato l’inizio della Creazione.

Nella Kabbalà, la proprietà della “discesa” associata alla materialità raggiunge la sua ultima espressione nell’acqua, che per natura scorre verso il basso. La proprietà opposta, quella dell’ascesa spirituale, si rispecchia invece nella fiamma del fuoco, che consuma la materia mentre s’innalza verso l’alto. Alla fine, la forza di gravità associata all’acqua è più forte della forza della leggerezza connessa con il fuoco, esattamente come la materialità del mondo scavalca il suo desiderio interiore di essere consumato nella Divinità.

Secondo molti fisici, l’universo ha già raggiunto il suo più basso livello di distribuzione di energia; questo significherebbe, secondo la Kabbalà, che il mondo sta per entrare in nuovo stato di simmetria. Lo Shabbat può essere visto come una metafora di questa nuova realtà. Dobbiamo provare ad immaginare la creazione come un processo che avanza da uno status sabbatico di armonia ed equilibrio ad un altro. Il primo “Shabbat”, identificabile con l’espansione infinita della Luce Divina che in origine permeava tutta la realtà, era un riflesso del “primo pensiero” di D-o sull’imminente creazione che ne sarebbe subito seguita: questo primo pensiero consisteva nell’idea che il mondo avrebbe dovuto essere costruito sulla base del principio del din, ossia del giudizio severo, che avrebbe contribuito a creare la versione ideale del mondo. La simmetria che questo piano comportava consisteva in una perfetta uniformità, ispirata alla perfetta Unicità della Luce Divina da cui il progetto era scaturito.

Un’ulteriore intenzione, però, emerse con la decisione di D-o di applicare congiuntamente al din anche il principio di rachamìm, la compassione Divina. Questo attributo è stato il vero responsabile della versione più “tollerante” che la creazione ha alla fine adottato, trovando una collocazione per l’imperfezione della realtà materiale finita. Avendo così cominciato la sua discesa, l’universo intraprese il corso verso lo Shabbat futuro, quando il mondo sarà redento dalla sua inquietudine.

L’idea dei due principi opposti coinvolti nella creazione è illustrata nel famoso midràsh che descrive come i due attributi di chèsed (benevolenza) e emèt (verità) si presentarono dinnanzi a D-o prima della creazione, discutendo se fosse il caso di creare il mondo. La Verità chiese che il mondo non venisse creato del tutto, poiché sarebbe stato pervaso dall’asimmetria della menzogna e della falsità; la Benevolenza, ribattendo che una creazione materiale non può mai giustificare se stessa, chiese che il mondo venisse creato nonostante la falsità, anche solo in nome della Bontà Divina e dell’opportunità che ci sarebbe stata nella vita del mondo di farsi del bene l’un l’altro. Il midràsh si conclude con il parere di D-o favorevole alla Benevolenza e con l’atto di D-o che gettò a terra la Verità, un atto che dimostrava la Sua volontà di attenuare l’idealismo più rigido con l’empatia, e la Sua valorizzazione della realtà materiale finita ed imperfetta.

Il vero scopo e destino della creazione richiedono che l’Anima Divina si rivesta di un corpo fisico, per poter compiere la Volontà Divina attraverso l’osservanza nella vita terrena della Torà e delle Mitzvòt; ciò rappresenta il livello più basso della discesa, necessario alla successiva ascesa e suo pre-requisito, poiché questo modello di vita susciterà il risveglio dello Spirito Divino che ora giace latente nell’universo. Questo risveglio rivelerà la vera intenzione di D-o con la discesa della creazione: la santificazione finale del Suo Nome e del Suo Regno assieme all’ascesa dell’umanità e di tutto il creato verso un livello infinitamente più alto dal quale essi sono venuti ad esistenza.

“Che la Benevolenza e la Verità s’incontrino; che la Giustizia e la Pace si bacino. Che la Verità spunti dalla terra e la Giustizia faccia capolino dal Cielo” (Salmi 85: 11-12). Questa è la simmetria rivelata tra la bontà e la verità di cui godrà il mondo quando entrerà nello Shabbat eterno, ossia nell’Era Messianica – che ciò si avveri presto ai nostri giorni, Amèn.

Di Yitzchak Ginsburgh, Per gentile concessione di Chabad.org