Non era altro che una cartolina con poche parole, ma era il più bel regalo di Chanukkà.
Al fine di terminare il ciclo di laurea per diventare insegnante d’inglese, avevo scelto di seguire lezioni di spagnolo. Oltre ad essere una materia opzionale, lo spagnolo mi piaceva molto, mi appassionava.
Ma la prima lezione andò male. Il professor Mendez sembrava competente nella sua lezione introduttiva. Tuttavia, ero sorpresa che si rivolgesse a noi in inglese, mentre si trattava di un corso avanzato, non per principianti. Alzai la mano e gli chiesi il perché della sua scelta. Gli altri studenti, tutti, tacquero in attesa della risposta. Il professore con tono sarcastico affermò che non eravamo all’altezza e non abbastanza avanzati per discutere di storia e letteratura in lingua spagnola. Seguì un dibattito agitato e ognuno prese a schierarsi da una parte o dall’altra e, naturalmente, fui accusata di essere l’elemento perturbatore. Il sentimento di antipatia che si sviluppò progressivamente poi nei miei confronti mise radici da questa polemica. Quando consegnammo i compiti di metà trimestre, il professore afferrò l’occasione per vendicarsi di me. Mi ero preparata molto bene ma lui mi concesse solo un voto di sufficienza, con la la scusa che avevo male interpretato le indicazioni: avevo analizzato il testo invece di riassumerlo. Ero furiosa e la mia famiglia fu dalla mia parte. Questo professore era sicuramente un antisemita, dichiararono i miei familiari, e la polemica che avevo acceso mi aveva di certo nuociuto. Proprio in quel periodo, venne pubblicata una rivista con una delle storie scritte da me. Conteneva episodi particolarmente toccanti dei ricordi d’infanzia durante le feste. Portai la rivista in classe per farla leggere ai miei compagni. Avevo pure deciso di farla vedere al mio professore. Ma quella sera, un’altra discussione scoppiò in classe e, tanto per cambiare, si concluse a mio svantaggio: fui costretta a lasciare la classe talmente le parole indirizzatemi furono sgradevoli. In mezzo alle scale, tuttavia, mi ripresi e tornai sui miei passi. Non lo saprò mai perché feci una cosa del genere. Gli studenti non se n’erano andati e il professor Mendez stava rimettendo i suoi libri nella borsa. Mi guardò stupito. Gli mostrai il mio articolo. Vi buttò un’occhiata veloce e poi, con mio stupore, mi chiese il permesso di leggerlo più attentamente a casa con promessa di riportarmelo l’indomani. La settimana dopo, mi chiese di rimanere dopo la lezione. E mi spiegò quanto aveva apprezzato il mio articolo. Io pensai «l’ha sicuramente trovato interessante. Era forse il suo primo contatto con l’ebraismo». Ma i miei pensieri furono interrotti improvvisamente. «Queste storie mi fanno tornare alla mente i miei ricordi d’infanzia», disse pensierosamente. Durante la seconda guerra mondiale, i miei genitori celebravano le feste clandestinamente e ogni anno in un altro luogo domandandosi dove si sarebbero trovati l’anno dopo». Meno male che ero seduta perché la domanda che seguì mi lasciò di stucco: «Come ha saputo che sono ebreo?»
Come? Il professor Mendez ebreo? Non credevo alle mie orecchie! «Durante la guerra», questi proseguì, «mio padre ha cambiato nome affinché potessimo scappare in Sudamerica. Ci siamo impegnati a sembrare dei non ebrei. Avevamo scrupolosamente studiato e poi imitato i coloni spagnoli»
Ed è così che la conversazione verté sull’ebraismo e la vita ebraica. Il martedì seguente, poco prima di uscire di casa, una delle mie figlie mi trattenne perché aveva ricevuto diversi kit di Chanukkà, contenenti menorà, candele, trottola e guida della festa, con l’incarico di distribuirli a persone che non avrebbero mai avuto l’occasione di compiere la mitzvà. Io le dissi: «Dammi uno di questi kit, ne ho appunto bisogno. E avvolgilo in un bel pacco regalo!»
Dopo la lezione di letteratura spagnola, aspettai che gli studenti se ne andassero e offrii il regalo al professor Mendez. «Di che si tratta? » chiese incuriosito e divertito. «Una torta che ha fatto lei?» Scossi il capo e risposi con aria misteriosa: «La prego, non lo apra prima di arrivare a casa. Legga attentamente le istruzioni, cerchi di seguirle e ci rifletta su!» E salutandolo, gli augurai un “buon Chanukkà”. Quando lo rividi gli domandai «Ha acceso la Chanukkià»?
«No! Le ho già spiegato che non sono praticante. La mia vita è completamente cambiata dalla guerra». Tuttavia, mi disse che aveva appoggiato la menorà sulla sua scrivania senza peraltro considerare utile servirsene.
«Ma perché?» dissi io, «Non sarebbe ora di ritrovare le sue radici? Accenda le candele per riabbracciare la sua identità. Ora non c’è più bisogno di nascondersi. La guerra è finita!»
«Forse un’altra volta, mi rispose evasivamente. Ma non adesso. La ringrazio comunque.»
Un anno dopo, a Chanukkà, mi mandò una cartolina. Lessi il messaggio una decina di volte perché mi colmava di gioia. C’erano solo quattro parole ma molto significative: «Le candele sono accese!». E aveva firmato: “Professor Mendez”, e sotto, in caratteri piccoli: “Yehuda Mendelovski”.
Esistono diversi tipi di battaglie nella vita e diversi tipi di vittorie. L’eroismo di cui lei ha fatto prova, professor Mendez è paragonabile alle battaglie condotte dai maccabìm di una volta. Quando accenderemo le candele, stasera, con la mia famiglia riunita, penserò alle sue nuove luci, queste fiamme tanto fragili ma tanto forti da aver combattuto l’oscurità!
Parliamone