Seduto al mio posto sul volo 1272 con destinazione Chicago (Illinois nel Mid-West, negli Stati Uniti), osservavo i passeggeri che sfilavano man mano. Il mio “radar ebraico” si mise subito a suonare. Oltre agli uomini d’affari muniti di computer e ventiquattr’ore, e i turisti in short e walk-man, vidi alcune kippòt in velluto, uno shtreimel e alcune gonne lunghe. Nonostante il nostro patrimonio comune, non mi presi la briga di salutarli. Dopotutto si trattava di estranei. E io vivo a New York, dove gli estranei si scambiano raramente i saluti sebbene recitino le stesse preghiere.

L’aereo si mise a rullare, andava avanti sulla pista e aspettavo il decollo. Ma niente. Il pilota annunciò che il volo avrebbe avuto tre ore di ritardo viste le condizioni meteorologiche tempestose a Chicago. Guardai l’orologio nervosamente. Di solito, evito di prendere l’aereo il venerdì pomeriggio per non correre il rischio di trasgredire lo shabbàt, ma quando inizia tardi nei fine settimana estivi, non metto in conto questo punto, poiché dispongo di un margine più largo. E invece questa volta ebbi torto. Tuttavia, calcolai che potevo arrivare per un pelo a casa se non avessi ritirato i bagagli e fossi saltata subito su un taxi. Mi voltai per vedere ciò che i miei correligionari stavano facendo. Le due kippòt guardavano i loro orologi. Lo shtreimel parlava al telefono. Una mezz’ora prima dell’arrivo, il pilota annunciò che l’aeroporto di O’Hare di Chicago era chiuso e che saremmo atterrati a Milwaukee (Wisconsin nel Mid-West). Il mio intestino si contorse. Ero ad un’ora dall’accensione delle candele. Nessuna probabilità di arrivare in tempo. Come la maggior parte degli ebrei osservanti che lavoravano nel mondo non ebraico, ho sempre vissuto in situazioni–limite.Ma mai ho corso il rischio di trasgredire il giorno sacro. Questa volta, però, ero alle strette. Davvero.

Le kippòt e le gonne lunghe si erano adunati sul retro dell’aereo. Erano stati raggiunti da altri. Lo shabbàt stava riunendo degli estranei.

Era ora di presentarmi. «Stiamo scendendo a Milwaukee (stato del Wisconsin, nel Mid-West)» mi disse un giovanotto. Il chassìd con lo shtreimel aveva chiamato un rabbino Chabàd di Milwaukee e questi si era proposto di ospitare tutti i passeggeri trattenuti nella sua città. «Venga con noi», insistette. Scossi il capo con sollievo ma ritornai al mio posto tutta sconvolta in quanto avevo previsto, da mesi, di trascorrere quella settimana con la mia famiglia.

Il mio vicino non ebreo, notando la mia disperazione, mi chiese cosa non andasse. Gli raccontai tutto e rimase a bocca aperta. «Mi permetta di ricapitolare» disse. «Lei si accinge a scendere dall’aereo in una città che non conosce affatto, con gente che non conosce affatto, per dormire da gente che non conosce affatto?»

Per la prima volta della mia vita capii fino a che punto sono nata fortunata.

Quando l’aereo atterrò, il pilota annunciò che saremmo usciti per primi per ragioni religiose. Gli altri passeggeri ci guardarono sbalorditi. Il mio vicino mi disse addio, poiché era convinto che non sarei sopravvissuta; ma mi resi presto conto che mi trovavo tra amici. Mentre tentavo di far scendere i bagagli dall’aereo une signora si offrì di aiutarmi. Quando ci stringemmo sul taxi per recarci a casa del rabbino, il chassìd con lo shtreimel volle pagare la mia parte. Arrivati a destinazione, il rav e sua moglie accorsero all’esterno per accoglierci come se fossimo lontani parenti ritrovati.

Il sole tramontava su Milwaukee al momento in cui varcammo la soglia della loro casa, dove già una lunga tavolata era apparecchiata per shabbàt con una tovaglia bianca, piatti in porcellana e scintillanti bicchieri di kiddùsh. Accesi i lumi e un’onda di serenità mi invase. Le mie peripezie mi fecero capire che il mondo si ferma alla prima luce delle candele di shabbàt.

Durante la cena, il rabbino ci incantò con i racconti del Baal Shem Tov e ci informò che la nostra deviazione a Milwaukee era dovuta non ai diktat della meteorologia, bensì a quelli della Provvidenza Divina. Ci attardammo a tavola ad apprezzare la nostra spiritualità del nostro santuario provvisorio dopo quella giornata stressante. I canti e le zemiròt shabbàt riempirono la sala. Ci scambiammo i sentimenti di delusione su questo inatteso scalo. La maggior parte del gruppo di passeggeri si recava a Chicago per l’Aufruf e per il matrimonio di un amico (Aufruf è la chiamata dello sposo alla Torà nello Shabbàt precedente il matrimonio, chiamato in certe comunità “shabbàt Chatàn”). E l’Aufruf lo persero. Il chassìd con lo Shtreimel e sua moglie invece viaggiavano per un Bar-Mitzvà.

Riflettemmo sul significato del nostro cambiamento di traiettoria e ci stupimmo di trovare delle coincidenze: la signora con la quale dividevo la camera quella sera era stata con me in colonia estiva da giovane; una coppia aveva intrattenuto rapporti commerciali con mio padre; un signore aveva studiato in yeshivà con mio cugino; e una volta trascorsi la festa di Purìm a Crown Heights con il figlio di uno degli ospiti.

Seppure stanchissimi, non riuscivamo ad alzarci da tavola.

L’indomani mattina una vivace tefilà fu seguita da un pasto ristoratore durante il quale discorremmo sulle nostre vite, le nostre carriere e i nostri sogni. Ci soprannominammo “I Milwaukee 15” e ci domandammo se i nostri discendenti avrebbero raccontato la storia del volo che non giunse a Chicago in tempo per l’accensione delle candele.

Sabato sera tornammo rammaricati alla vita di tutti i giorni. Ma prima di intraprendere l’ultimo segmento del nostro viaggio, chiamai mio marito per raccontargli le mie avventure.

«Con chi hai trascorso shabbàt?» Mi domandò con apprensione.

Riflettei un momento su come spiegare chi erano quegli estranei che mi diedero lezioni sull’ospitalità dello shabbàt e sulla forza di questo giorno di riunire fratelli ebrei.

E poi, rapida quanto un 747 che decolla in una giornata serena, la verità mi apparse in un bagliore! A chilometri di distanza dai miei genitori, da mio marito e da casa, avevo raggiunto l’obiettivo per il quale avevo prenotato il mio biglietto aereo: trascorrere lo shabbàt con la mia famiglia!