I saggi del Talmùd dicono che “una persona dovrebbe sempre apparecchiare il suo tavolo di Motzaè Shabbàt (Sabato sera dopo l’uscita di Shabbàt) con tutti i preparativi per un pasto importante, anche se vuole mangiare una piccola quantitá di cibo, per accompagnare l’uscita dello Shabbàt con onore, così come fa quando lo Shabbàt arriva”; pertanto questo pasto viene chiamato “melavè malkà” ovvero, “scortare la regina”.
Il Rebbe di Lubavitch nota che se si legge il testo del Talmùd con attenzione sembra che apparecchiare la tavola sabato sera sia ancora più importante del mangiare in sé. Infatti, questa affermazione è parallela all’idea che si dovrebbe apparecchiare la tavola di Shabbàt venerdì pomeriggio in onore dello Shabbàt (che inizia di sera).
Eppure c’è un significato particolare nel mangiare il pasto del melavè malkà.
Il Rebbe spiega che il motivo più profondo di quest’uso ha a che fare con la manna che gli Ebrei mangiarono nel deserto per quarant’anni. Ogni mattina cadeva abbastanza manna per ogni persona, nella quantità di un òmer a testa, ed era sufficiente a saziare ogni persona per quel giorno e quella notte. Ogni venerdì, invece, cadeva una doppia porzione di manna, che bastava per venerdì e per Shabbàt.
La porzione in più del venerdì era una manifestazione tangibile di onore allo Shabbàt. Siccome ogni porzione era calcolata per quel giorno e quella notte, ne consegue che la porzione in più per lo Shabbàt includeva necessariamente anche il pasto di Motzaè Shabbàt. In ricordo di questo, si mangia il melavè malkà dopo la conclusione dello Shabbàt.
Questa è anche la spiegazione dell’affermazione dell’Arizal secondo il quale si dovrebbe stare attenti a non fare mestieri non necessari di Motzaè Shabbàt, limitandosi a ciò che è necessario per il pasto del melavè malkà; il motivo è che ogni Shabbàt si riceve un’anima in più, che non lascia il corpo completamente fino a dopo questo pasto.
Il Rebbe aggiunge che siccome il melavè malkà commemora anche la manna in più che cadeva in onore dello Shabbàt, la santità dello Shabbàt rimane parzialmente fino a dopo il pasto. Con ciò si spiega perché si possa apparecchiare la tavola e mangiare un pasto per accompagnare la Regina Shabbàt anche quando non è più Shabbàt e dopo che la Regina presumibilmente è andata via. Tuttavia, in base a quanto detto sopra, c’è ancora un aspetto da spiegare.
Il pasto del Re David
Questo pasto viene chiamato in Aramaico anche Seudata deDavid Malka Meshicha, ossia, “il pasto di David il re Mashìach (l’Unto)”.
Cosa c’entra David con questo pasto?
Il Talmùd dice che il Re David chiese a D-o quando sarebbe morto, e D-o gli rivelò che sarebbe spirato di Shabbàt. Da allora il Re David faceva un pasto per i membri della sua casa alla conclusione dello Shabbàt per ringraziare D-o di essere ancora vivo; e David rappresenta anche il Mashìach, che è suo discendente.
L’osso Luz
Il Midrash dice che c’è una parte minuscola del corpo che si chiama l’osso del luz, che riceve il suo nutrimento solamente da ciò che si mangia di Motzaè Shabbàt. A causa di ciò, il luz non ottenne nessun nutrimento né piacere quando Adam e Chava peccarono mangiando dall’Albero della Conoscenza il venerdì pomeriggio. Pertanto, dopo il peccato, quando la morte scese nel mondo, quella parte del corpo non ne fu coinvolta, ed è da quest’osso che D-o ricostruirà il corpo intero quando arriverà il momento della Resurrezione di Morti. Quindi, il pasto di Motzaè Shabbàt è collegato alla venuta del Mashìach e alla Resurrezione, perché è l’unico pasto che nutre il luz.
Perché il sabato sera è speciale?
Il Rebbe di Lubavitch aggiunge che il nesso tra il luz e il melavè malkà indica lo scopo principale di questo esilio e la motivazione importante della redenzione finale. Infatti, in un certo senso lo Shabbàt è simile al Mondo Futuro. Esso è un giorno santo dedicato a D-o, un giorno di riposo in cui ci si trattiene dal fare qualsiasi lavoro. Il melavè malkà è particolare perché unisce lo Shabbàt al resto della settimana. Da un lato, lo Shabbàt finisce ed è permesso lavorare, dall’altro, la Regina Shabbàt non è ancora andata via completamente. Pertanto, il melavè malkà prolunga la santità dello Shabbàt portandola nel mondano, trasformando e permeando di essa la settimana lavorativa.
È questo il motivo per cui il luz si nutre solo di cibo che viene mangiato nel pasto del melavè malkà: la sua unicità non consiste solo nel fatto di essere indistruttibile, ma anche che, alla fine, da esso il corpo nel suo stato raffinato verrà ricomposto e risuscitato. Questo è un simbolo del culmine del nostro lavoro nell’esilio che è appunto di raffinare il mondano e permearlo di santità, fino al punto che il peccato dell’Albero della Conoscenza verrà rettificato e gli effetti saranno cancellati con l’eliminazione della morte dal mondo. Questa sarà l’unione finale tra il sacro e il mondano.
Inoltre, essere scrupolosi con il melavè malkà fa da ponte tra la santità dello Shabbàt e le giornate lavorative, avvicinando così la Redenzione finale e la Resurrezione dei Morti. Che sia presto nei nostri giorni!
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