Teshuvà vuol dire ritorno verso il nostro creatore, non ha limiti di tempo e ogni giorno è adatto.

Comunque, nel periodo da Rosh-Hashanà, quando viene scritto il giudizio di ogni persona per l’anno seguente, e Hosha’nà Rabbà quando viene definitivamente sigillato è più facile e basta molto poco perchè venga accettata. Ci sono tre fasi che la conpongono a tre condizioni:

1) abbandonare le azioni contrarie alla volontà del Signore, cioè ai precetti che ci ha dettato nella Torà, e decidere nel cuore che non si ripeteranno. Questo è il punto principale poichè ci si stacca da un comportamento sbagliato;

2) pentirsi dei propri peccati e sentirsi amareggiati per averli commessi;

3) riparare i propri peccati e recitare il viddùi. Così ad esempio quando si litiga con il proprio padre comportandosi male, la prima cosa da fare per riconciliarsi è decidere che il proprio comportamento non provochi più dolore al padre.

Dopo di che bisogna pentirsi del comportamento sbagliato e sentirsi amareggiati per il dispiacere causato. Infine riparare il peccato verso il padre ed esprimere il dolore che per ciò che è accaduto in modo da eliminare ogni traccia che possa dividere il figlio dal proprio padre. La stessa cosa con nostro Padre in cielo: dobbiamo sentirci amareggiati considerando tutto ciò che ci ha dato, vita, salute e nutrimento... eppure abbiamo osato trasgredire la sua volontà!

C’è un quarto punto non obbligatorio ma che comunque è molto importante: il tikkùn (l’atto riparatore). Poiché ogni peccato crea una macchia nell’anima, anche a livello spirituale è indispensabile rimuovere questa macchia per completare la teshuvà. Ogni peccato ha il suo tikkùn, perciò bisognerà rivolgersi a un rabbino per sapere qual’è il comportamento adatto per “aggiustare” la propria anima.

Quando il peccato invece è stato commesso nei confronti di una persona, come ad esempio un furto, oltre alle tre condizioni precedenti, bisogna anche restituire ciò che è stato rubato. Se qualcuno avesse detto una maldicenza o svergognato il suo prossimo, allora deve chiedere perdono per il danno causato. Se l’amico non volesse perdonare chi lo avesse danneggiato deve richiedere il perdono per tre volte (dopo la terza volta non si è più obbligati a chiedere perdono).

Infatti Yom Kippùr (il giorno del perdono) cancella solo le colpe relative alle mitzvòt tra l’uomo e D-o e non tra uomo e uomo. C’è chi dice che se qualcuno non ha fatto teshuvà verso gli altri uomini, D-o non gli perdonerà nessun peccato poiché il perdono divino è collegato al comportamento fra uomini. Il pentimento non può essere solo relativo alle azioni, ma anche ai sentimenti che le hanno provocate: gelosia, odio, forte attaccamento ai soldi o ai cibi ecc.

Staccarsi da queste passioni è più difficile che dalle azioni vietate: per questo bisogna stare più attenti, poiché, una volta abituati, commettere quella trasgressione diventa una cosa naturale e non ci si rende più conto della gravità e difficilmente si riesce a staccarsi dalla consuetudine a trasgredire.

Prima di Yom Kippùr bisogna chiedere perdono anche ai genitori per le eventuali mancanze di rispetto nei loro confronti. Infatti, il rispetto deve arrivare fino a non contraddirli anche se hanno sbagliato; essendo tutto ciò molto difficile il Talmùd dice che non c’è persona che si salvi completamente da questo peccato. Anche tra coniugi si usa perdonarsi a vicenda le offese.

Quando una persona ha fatto teshuvà, non solo è perdonata, ma sarà amata anche più dei giusti - tzaddikìm, poichè avendo assaggiato il gusto del peccato è riuscito lo stesso a staccarsene e a tornare alle sue radici. Speriamo che ognuno faccia teshuvà e che D-o gli assicuri un anno di salute e prosperità avvicinando la redenzione; come dice il Talmùd: “appena Israèl farà teshuvà D-o lo redimerà”.