Che Cosa è Lag Ba’Omer?

Il diciottesimo giorno del mese ebraico di Iyàr, che corrisponde al trentatreesimo giorno del conteggio dell’Omer1, fu il giorno nel quale cessò la piaga che colpì i discepoli di Rabbì ‘Akivà. Il lutto che si osserva durante il periodo dell’Omer è quindi sospeso e si celebra la giornata con gite all’aperto, musica e vari generi di divertimenti per i bambini.

Lag Ba’Omer è anche il giorno della scomparsa di uno dei più illustri discepoli di Rabbì ‘Akivà, Rabbì Shimòn bar Yochai. In questo giorno, molti si recano alla tomba di questo grande saggio e mistico, a Miròn, in Galilea.

Rabbì ‘Akivà: Pastore, Saggio, Rivoluzionario

Rabbì ‘Akivà ben Yossèf fu uno dei più illustri saggi del popolo ebraico. Il giovane ‘Akivà, figlio di una famiglia di proseliti, crebbe lavorando come pastore del gregge di uno degli uomini più ricchi di Gerusalemme, Kalba Savu’a, che poi diventò suo suocero. ‘Akivà non ebbe l’opportunità di dedicarsi allo studio e rimase quindi analfabeta per lunghi anni. Un giorno, mentre conduceva il gregge a bere, notò che l’acqua del ruscello colava lentamente su una pietra nella quale, dopo molto tempo, si era formata un’apertura, un piccolo foro causato dalla lenta e progressiva corrosione. “Se l’acqua può avere questo effetto sulla pietra dura, sicuramente la Torà ha la facoltà di penetrare nel mio cuore” si disse ‘Akivà, che in quel momento decise di iniziare a studiare. ‘Akivà aveva quarant’anni.

Non fu una decisione facile, ma sua moglie Rachel era più convinta di lui stesso e ‘Akivà lasciò la casa, rinunciò al lavoro e al sostegno del suocero, per dedicarsi completamente allo studio della Torà. Al termine di dodici anni di studio intensivo, Rabbì ‘Akivà decise di tornare dalla famiglia. Avvicinandosi a casa sentì che Rachel, costretta a vivere in povertà, stava parlando con uno dei vicini che si meravigliava che suo marito, Rabbì ‘Akivà, avesse lasciato la famiglia per così tanto tempo. “Se lui continua a studiare Torà, disse Rachel, non mi dispiacerebbe se rimanesse lì ancora dodici anni!”. Udendo le sincere parole della moglie, Rabbì ‘Akivà tornò subito alla casa di studio, dove rimase per altri dodici anni. Quando tornò la seconda volta, era ormai diventato il Rav e la guida spirituale di ventiquattromila discepoli2.

Rabbì ‘Akivà riconobbe pubblicamente l’impegno e il sacrifico della moglie Rachel, e disse di lei ai suoi allievi: “La mia [conoscenza della Torà] e la vostra sono interamente dovute a lei”.

Il suocero, Kalba Savu’a, inizialmente aveva ripudiato la figlia per avere sposato un marito così semplice, e per molti anni Rachel visse in povertà assoluta. Quando Rabbì ‘Akivà tornò con tutti i suoi discepoli anche Kalba Savu’a andò incontro a questa guida di Israele, ignaro del fatto che altri non era che il suo “ignorantissimo” genero. Dal momento della loro riunione, Kalba Savu’a tornò a sostenere Rachel e suo marito, il quale si potè finalmente permettere di donare alla moglie il diadema denominato “Gerusalemme d’Oro”, promessole in passato, un gioiello all’epoca ritenuto prezioso e raro.

Tempi Difficili

Rabbì ‘Akivà visse in epoche turbolente per il popolo ebraico. Dopo la distruzione del Bet Hamikdàsh di Gerusalemme, i romani esiliarono gli ebrei dalla città e l’imperatore Adriano decise di ricostruirla come una città romana dedicata a Giove, cui diede il nome di Aelia Capitolina. Il governo romano emanò inoltre dei decreti che comportarono una seria minaccia per lo studio della Torà e l’osservanza dell’ebraismo. Le nuove restrizioni furono all’origine della rivolta ebraica condotta da Shimòn Bar Kochvà, più di sessant’anni dopo la distruzione del Santuario. La guida spirituale della rivolta fu Rabbì ‘Akivà, il quale credeva inizialmente che Bar Kochvà fosse il Mashiach che avrebbe ricostruito il Bet Hamikdàsh, fatto che tuttavia non si verificò.

Fu proprio nel corso del periodo della rivolta che morirono ventiquattromila discepoli di Rabbì ‘Akivà. La loro tragica morte fu ritenuta dai maestri il castigo per la mancanza di rispetto che caratterizzava i loro rapporti. Benché minato da una parte dall’insuccesso della rivolta e dall’altra dalla terribile piaga che aveva colpito i suoi discepoli, Rabbì ‘Akivà si dedicò alla ristaurazione dello studio e della trasmissione della Torà alle generazioni successive, tramite i cinque discepoli sopravvissuti3.

Gli Insegnamenti di Rabbì ‘Akivà

Secoli dopo, Rabbì Yehudà HaNassì redasse la Mishnà e trascrisse tutte le leggi della Torà fino allora trasmessi oralmente. Stabilendo la Halachà in base alle varie opinioni dei saggi, Rabbi Yehudà diede sempre la priorità a quelle di Rabbì ‘Akivà. In questo modo, i suoi insegnamenti ebbero un profondo effetto sulla vita degli ebrei, che si ripercuote fino ai nostri giorni.

Uno degli insegnamenti morali più noti di Rabbì ‘Akivà è che la Mitzvà di amare il prossimo come se stessi – “Veahavtà lere’achà kamocha4” – è un principio di carattere generale, che giace alla base dell’intera Torà5.

L’amore è un filo conduttore generale sia negli insegnamenti di Rabbì ‘Akivà, che si rispecchiava fra l’altro anche nella sua condotta personale; forse è per questo che il popolo ebraico lo ricorda con molto affetto.

Il Sacrificio

Rabbì ‘Akivà era ricercato dai romani in quanto guida della rivolta in generale, ma anche in funzione di guida spirituale che continuò ad insegnare Torà pubblicamente incurante dei decreti emanati dal governo invasore, mettendo a repentaglio la propria vita.

Alla fine fu arrestato e condannato a morte dal governatore romano Turnus Rufus, che ne comandò l’atroce esecuzione per scorticamento. Il Talmud narra che Rabbì ‘Akivà fu condotto alll’esecuzione della pena capitale all’ora in cui si recita lo Shemà. Sottoposto alla terribile tortura, Rabbì ‘Akivà recitava lo Shemà, accollandosi il giogo Divino con la più eccelsa delle devozioni. I suoi discepoli dissero allora: “Maestro, fino a questo punto?!”, e lui rispose: “Tutta la mia vita ho ambito ad adempiere alle parole del versetto ‘[amerai il Sign-re] con tutta la tua anima’ – , ossia anche se ti porta via la tua anima; ora che ho l’opportunità di farlo, dovrei forse astenermene?”. Fu mentre pronunciava la parola Echàd, che la sua anima lasciò il corpo...

Rabbì Shimòn bar Yochai

Rabbì Shimòn bar Yochai, che visse nel II secolo dell’era volgare, fu uno dei grandi maestri della Mishnà e il primo a diffondere gli aspetti mistici della Torà, noti con il nome “Kabbalà”. Fu l’autore dell’opera fondamentale di questa disciplina, , lo Zohar.

La Vita di Rabbì Shimòn

In qualità di discepolo di Rabbì ‘Akivà, Rabbì Shimòn prese parte alla rivolta contro i romani, continuando a contestarne il potere e i metodi anche dopo la repressione e il fallimento della rivolta.

Quando furono riferite ai romani le sue critiche riguardo alle loro opere, essi decisero di cercarlo e punire anche lui con la morte, come avevano fatto con Rabbì ‘Akivà. Rabbì Shimòn fu costretto a nascondersi e prendendo con sé il figlio Eli’ezer si rifugiò in una grotta della Galilea. I dodici anni di permanenza nella grotta furono interamente dedicati da Rabbì Shimòn e suo figlio allo studio della Torà, che consentì loro di raggiungere livelli spirituali eccelsi.

Testimoni di una catena di piccoli eventi carichi di significato per loro, Rabbi Shimòn e Rabbi El’azàr capirono che non era ancora giunto il momento di abbandonare definitivamente il rifugio, in quanto il mondo non era in grado di cogliere la loro immensa santità e spiritualità. Fu quindi loro impartito di tornare alla grotta per un ulteriore anno. Poi, non appena abbandonata definitivamente la grotta, Rabbì Shimòn iniziò ad aiutare la popolazione, risolvendo questioni e problemi halachici rimasti aperti per anni6.

Benché noto come una figura di massima importanza nel mondo esoterico della Kabbalà e dello Zohar, Rabbì Shimòn era tutt’altro che lontano dalle realtà del mondo. Egli è infatti uno dei maestri più citati nella Mishnà e nel Talmùd nei temi concernenti gli aspetti più disparati della vita ebraica pratica. In questo grande maestro si fondono i due mondi dello spirito e della materia, come espressione unica ed in perfetta armonia della Volontà Divina.

Rabbì Shimòn, nel suo impegno assoluto nello studio della Torà, rientrava nella stretta cerchia di persone a cui venne attribuito il titolo di “Toratò Umanutò”, ossia di cui “la Torà è il mestiere”. Questa definizione halachica esonera coloro a cui viene attribuita da varie mitzvòt, a causa del loro impegno costante nello studio.

“D-o in Esilio”

Riguardo alla redenzione futura è scritto nella Torà che qualora il popolo ebraico faccia Teshuvà e ascolti la Sua voce, “D-o, il tuo Sign-re ritornerà con la tua cattività...”7

Rabbì Shimòn bar Yochai spiega la profondità del messaggio di questo versetto. La Torà avrebbe dovuto dire che D-o farà tornare il popolo ebraico e non che “tornerà”. Il significato della frase è quindi più profondo di quello che potrebbe sembrare: quando gli ebrei si trovano in esilio, è come se il Sign-re stesso vi si trovi con loro, dice Rabbì Shimòn, e quando verranno redenti, anch’Egli stesso si considera tale8.

“Il Giorno della Mia Gioia”

Prima di lasciare questo mondo Rabbì Shimòn impartì ai suoi discepoli di celebrare il momento come “il giorno della mia gioia”.

I maestri chassidici spiegano che l’ultimo giorno della vita di uno tzaddìk rappresenta il momento in cui tutti i suoi insegnamenti, le sue azioni e il suo operato raggiungono il culminedella perfezione e l’apice del loro effetto sulla vita di tutti noi9.

È per questo motivo che ogni Lag Ba’Omer noi festeggiamo la vita di Rabbì Shimòn e la rivelazione dell’anima esoterica della Torà.

Ricordando la vita e gli insegnamenti dei grandi maestri, ci impegnamo a migliorare, anche in piccola misura, il nostro stesso impegno nei confronti del nostro ebraismo, sempre ricordando il principio di Ahavàt Yisrael, l’amore per il prossimo.

Copyright 2008 Shalom Hazan, libretto su Lag BaOmer redatto in onore del Bar Mitzvà di Avi Zanzuri