La Torà paragona il legame tra D-o e Israele al vincolo matrimoniale che esiste tra un uomo ed una donna. Perciò, quando violiamo i comandamenti della Torà, i profeti ci ammoniscono come fossimo una moglie refrattaria che ha tradito il marito. Il conseguente galut, la distruzione del Tempio e il nostro esilio, è descritto come un periodo di allontanamento e separazione all’interno del matrimonio. Allo stesso modo, i profeti parlano della redenzione messianica come della restaurazione della relazione e della creazione di un rinnovato, persino più profondo legame di amore tra la sposa Israele e il suo Sposo Divino.
Nel locale più interno del Tempio, il ‘Santo dei Santi’, era custodita l’Arca d’oro, che conteneva le “Tavole della Testimonianza”, su cui D-o aveva inciso i Dieci Comandamenti, come anche la Torà originale scritta da Moshe. A copertura dell’Arca vi erano i keruvim, due figure alate, una maschile ed una femminile, scolpite in un blocco di oro puro. I keruvim rappresentavano la relazione tra D-o e il suo popolo: il Talmud ci dice che quando il popolo di Israele si ribellava contro la volontà dell’Onnipotente, i keruvim si davano le spalle, quando Israele era fedele al suo D-o, erano rivolti l’uno verso l’altra; nei momenti in cui l’amore e la buona volontà tra D-o e la sua sposa erano al massimo, essi si riflettevano nell’abbraccio dei keruvim “come un uomo fedele a sua moglie”.
Il Talmud racconta che quando i nemici di Israele invasero il tempio, entrarono nel ‘Santo dei Santi’, un luogo così sacro che vi poteva entrare solo un singolo individuo, il Sommo Sacerdote, e solo di Yom Kippur, il più sacro dei giorni dell’anno. Lì i nostri nemici videro i keruvim rivolti l’uno verso l’altra. Essi li trascinarono fuori dal Tempio, per le strade, deridendo o volgarizzando il loro sacro significato.
Il Paradosso
Nelle nostre preghiere noi ci ricordiamo che, “a causa dei nostri peccati, fummo esiliati dalla nostra terra…e non siamo più in grado di innalzarci e mostrarci e inchinarci dinnanzi a Te…nella casa che hai scelto, nella grande e sacra casa sulla quale è invocato il Tuo Nome.”
Per più di otto secoli (il Primo Tempio rimase in piedi 410 anni, il Secondo 420), D-o dimorò in un edificio fisico sito sulla cima di una montagna di Gerusalemme, assicurandoci un’esperienza concreta della Sua presenza nelle nostre vite. Ma ci dimostrammo indegni di una tale vicinanza e intimità con il divino. Il Tempio ci fu tolto, e noi fummo gettati nel galut, uno stato dell’esistenza in cui il volto divino è nascosto e l’amore e l’interesse di D-o per noi è celato, cosicché il vuoto nelle nostre vite dovrebbe spingerci a pentirci e a riparare i danni inflitti al nostro matrimonio dai nostri misfatti.
Ma se il galut è un periodo di allontanamento tra D-o e Israele - si chiede il Rebbe – perché i keruvim erano rivolti l’uno verso l’altra al tempo della distruzione del Tempio? La distruzione del Tempio non avrebbe dovuto segnare il punto più basso della nostra relazione con l’Onnipotente? Che grande paradosso rappresenta: lo Sposo Divino sta distruggendo la dimora coniugale, permettendo alla sua camera nuziale di essere violata e alla sua sposa di essere portata via da stranieri, mentre il barometro del loro matrimonio indica suprema intimità e unione.
Tre e Sette
Dopo la lettura della porzione settimanale della Torà, in sinagoga si legge una brano dei Profeti, chiamato Haftarah. Di solito, il contenuto della Haftarah corrisponde alla lettura settimanale della Torà. Tuttavia, ci sono settimane in cui l’Haftarah riflette invece gli eventi connessi al periodo dell’anno. Questo è il caso delle ultime 10 settimane dell’anno, quando vengono lette dieci Haftarot speciali, chiamate le ‘Tre della Punizione’ e le ‘Sette della Consolazione’.
Le ‘Tre della Punizione’ sono lette in congiunzione con le ‘Tre Settimane’ dal 17 di Tammuz al 9 di Av, durante i quali piangiamo la distruzione del Tempio e l’inizio del nostra diaspora.
Il 17 di Tammuz dell’anno 3829 dalla creazione (69 e.v.), fu aperta una breccia nelle mura di Gerusalemme dall’esercito assediante di Roma. Dopo tre settimane di combattimenti, durante i quali i Romani avanzarono con grande difficoltà attraverso la città, i soldati riuscirono a irrompere nel Tempio; il 9 di Av lo diedero alle fiamme. Il 9 di Av è anche la data della distruzione del Primo Tempio, da parte dei Babilonesi, nel 3339 (423 a.e.v.). Il 17 di Tammuz e il 9 di Av sono giorni di digiuno, e le tre settimane che li dividono - a cui i Profeti si riferiscono come quelle ‘tra restrizioni’ – un periodo di lutto. In questi giorni, le letture dell’Haftarah consistono in brani scelti dai Profeti (Geremia 1:2-2:3; ibid. 2:4-2:28 e 3:4; e Isaia 1:1-27), in cui i profeti rimproverano Israele per i suoi crimini e iniquità e per il tradimento del suo patto con D-o.
Le ‘Tre della Punizione’ sono seguite dalle ‘Sette della Consolazione’. Per sette settimane, ad iniziare con lo Shabbat dopo il 9 di Av (Tishah B’Av), la lettura dell’Haftarah consiste in profezie che descrivono la consolazione di D-o nei confronti del suo popolo e il risanamento della loro relazione. (Isaiah 40:1-26; 49:14-51:3; 54:11-55:5; 51:12-52:12; 54:1-10; 60:1-22; e 61:10-63:9). In questo modo sperimentiamo ogni anno il processo di rimprovero e cordoglio, distruzione e ricostruzione, allontanamento e riunione.
Ma perché, specificatamente, un processo di dieci settimane? E qual è il significato della sua divisione in tre fasi di allontanamento e sette gradi di riconciliazione? Il maestro Rabbi Hillel di Paritch spiega che le ‘Tre della Punizione’ e le ‘Sette della Consolazione’ corrispondono ai dieci attributi dell’anima, che sono a loro volta divisi in serie di tre e sette: l’anima dell’uomo ha tre facoltà intellettuali di base (concettualizzazione, comprensione e applicazione), e sette pulsioni emozionali (amore, timore, armonia, ambizione, devozione, capacità di formare legami affettivi, ricettività). Perché è l’interazione tra mente e cuore che ci permette di capire la vera natura dell’alienamento del galut.
Mente e Cuore
La mente, per natura e necessità, è distaccata e imparziale. Per apprendere un concetto deve assumere una distanza oggettiva, svestendosi di qualsiasi coinvolgimento o affinità con il soggetto e adottando un distacco riservato, persino insensibile, verso l’entità studiata. Solo allora la sua analisi e comprensione può essere esatta e completa.
Il cuore, d’altra parte, è coinvolto, attaccato, gloriosamente soggettivo. Il cuore si relaziona all’oggetto del suo affetto, gettando un ponte tra le distanze, sormontando le barriere tra sè e gli altri.
E, pur tuttavia, il vero e duraturo attaccamento nasce solo dalla comprensione. Sentimenti che sono basati solo sull’impulso o su un’attrazione istantanea, sono, in ultima analisi, superficiali quanto appassionati, effimeri quanto intensi. Sono le emozioni concepite nel ventre della mente quelle che possiedono profondità e continuità; è l’amore fondato sulla comprensione e l’apprezzamento dell’amato quello che trascende le fluttuazione dei sentimenti, le delusioni, il torpore e le molte altre insidie del tempo e dei cambiamenti.
Perciò la mente, che appare fredda e distante, in verità, è la fonte e l’essenza di ogni relazione significativa. Il distacco associato alla verifica razionale in realtà è alla base della capacità emotiva di legarsi ad altri.
La ‘Mente’ di D-o
“Dalla mia stessa carne, percepisco D-o”, dice il verso. L’uomo è una metafora del divino: esaminando il nostro carattere fisiologico e psicologico, impariamo molto della realtà divina del modo in cui D-o sceglie di relazionarsi con la Sua creazione.
Perciò il paradosso mente- cuore, la maniera in cui il distacco mentale è l’essenza e il fondamento del vero attaccamento emotivo, ci fornisce un modello per il paradosso del galut.
Il rapporto di D-o con noi include sia elementi ‘intellettuali’ sia ‘emozionali’. A volte, avvertiamo ciò che appare essere un segno di distacco e scarso coinvolgimento da parte Sua. D-o sembra avere distolto la Sua attenzione dalle nostre vite, abbandonandoci ai capricci della ‘sorte’ e del ‘fato’. La nostra esistenza priva di direzione e scopo. D-o si ‘allontana’ da noi, come se le nostre vite non fossero apparentemente meritevoli del Suo interesse.
In verità, tuttavia, questa divina ‘oggettività’ porta i semi di una più grande connessione. È una separazione per il bene di una più duratura relazione, un ritiro per creare un’ancor più significativa vicinanza. Apparentemente, il galut è una rottura, una diminuzione del legame tra noi e D-o; in verità, è l’essenza di un’identificazione e un impegno più profondo tra noi e D-o.
Il nascondersi di D-o in galut è un atto d’amore. Nonostante la nostra dolorosa incomprensione, serve ad approfondire il nostro attaccamento verso di lui. Nelle ‘Tre della Punizione’, sperimentiamo l’abbandono, l’alienazione e la distanza; ma queste danno vita alle ‘Sette della Consolazione’.
Privati delle manifestazioni esteriori della nostra relazione con D-o, siamo spinti a scoprirne l’essenza, il legame fondamentale che trascende ogni distanza fisica e spirituale. Perciò, è solo attraverso l’esperienza del galut che la dimensione più profonda del nostro matrimonio si realizza. Esternamente le Tre Settimane sono un periodo di distacco e allontanamento; in essenza, sono il momento di più alto attaccamento e connessione.
Perciò gli eserciti pagani entrando nella stanza più sacra trovarono i keruvim abbracciati. Senza questo abbraccio Israele era sconfitta ed esiliata, e il Tempio dato alle fiamme. Apparentemente il matrimonio si stava sgretolando, il marito si allontanava e la moglie ribelle bandita e mandata in una terra lontana. Ma all’interno della stanza più sacra, nella camera che custodiva l’essenza del loro matrimonio, il legame tra D-o e il Suo popolo era al punto più alto di vicinanza ed unità.
Basato sugli insegnamenti del Rebbe di Lubavitch, traduzione della Scuola del Merkos, per gentile concessione di Chabad.org
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