Quando si diffuse a Roma la notizia dell’insurrezione, fu immediatamente armato un grande esercito al fine di reprimerla.
Il generale destinato a comandare tale armata aveva già frequentato a lungo gli ebrei, ne conosceva usi e costumi, anzi, nell’intimo, della sua coscienza, provava un’inclinazione per quella fede. Il suo animo oscillava tra superstizione pagana e verità della Legge.
Appena ricevuto il nuovo comando, egli ricorse a una delle consuete superstizioni del tempo per trarre gli auspici in merito all’esito della spedizione.
Scagliò una freccia e osservò con attenzione che direzione avrebbe preso nella sua caduta. La freccia cadde dalla parte di Gerusalemme.
Il generale, allora, si volse dall’altra parte e scagliò un’altra freccia che di nuovo, però, cadde in direzione di Gerusalemme.
Egli provò proprio in tutte le direzioni, ma sempre una forza misteriosa dirigeva la freccia verso Gerusalemme. Il generale ne fu colpito e trasse la conclusione che D-o stesso avesse deciso la rovina della città.
Forte nell’animo di tale convinzione, partì per la campagna militare.
Di tanto in tanto, però, un segreto malessere gli turbava l’animo, l’umore e il sonno.
Un giorno incontrò un ragazzo ebreo e gli disse: «Recitami il primo versetto tra i più importanti passi della Bibbia che ti venga in mente».
Il giovane recitò il versetto del profeta Ezechiele il quale dice che D-o, dopo, punirà severamente la distruzione di Gerusalemme e del Santuario.
Il generale fu colto dal terrore e pensò: «Dunque io sarò lo strumento dell’ira del Signore, e poi verrà anche la volta dello strumento: si presti chi vuole a tale missione. Io, per parte mia, non mi presto».
Lasciò l’esercito, si fece ebreo, e dalla sua stirpe discese il famoso rabbi Meir. (Talmud Gittin 56a).
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