Questa settimana si legge un brano speciale della Torà: la parashat Shekalim. Tale brano riguarda l’ordine secondo il quale ogni ebreo doveva contribuire con mezzo shekel alla costruzione del Mishkan, il Santuario nel deserto.
I Maestri ci dicono (Tossafot, Talmud Chullin 42a) che quando Moshé ricevette il comando Divino di imporre una tassa di mezzo shekel ad ogni uomo adulto, rimase molto perplesso; quella moneta doveva servire per espiare il peccato commesso adorando il vitello d’oro.
«Come mai poteva un uomo espiare una colpa dando solo una moneta?» si chiese Moshé.
Ora ci viene fatto di chiederci: Moshé aveva già ricevuto altre volte l’ordine di fare sacrifici ed offerte per l’espiazione di peccati e mai aveva manifestato la sua sorpresa per il fatto che una persona potesse espiare le proprie colpe con una semplice offerta. Perché, allora, questa perplessità sulla tassa di mezzo shekel?
La Torà vuole che ogni ebreo adempia a 613 precetti. Queste mitzvot sono divise in due grandi categorie: 365 precetti negativi, o proibizioni, e 248 precetti positivi.
I Maestri spiegano (Tiqquné Zohar 30, p. 74; Tanya 23) che le 613 mitzvot corrispondono ai 613 organi del corpo. Alcuni hanno una funzione limitata e specifica, l’occhio serve per vedere, l’orecchio per udire, mentre altri, come il cervello e il cuore, non hanno solo una funzione specifica, ma sono così importanti che l’intera forza vitale del corpo si concentra in essi (Tanya 9).
Se il funzionamento di questi organi è in qualche modo difettoso o se sono colpiti da qualche malattia, è proprio il centro della vitalità di tutto l’organismo a venire gravemente compromesso.
Parimenti le mitzvot: alcune sono precetti specifici, mentre altre sono precetti generali. I primi due tra i Dieci Comandamenti – Io sono il Signore D-o tuo e Non avrai altri dei al Mio cospetto – sono precetti che riguardano la vera essenza dell’anima ebraica. Perciò qualsiasi trasgressione contro questi due Comandamenti – e tale è l’idolatria – inciderà sulla spiritualità umana nel suo complesso e sui vincoli che uniscono l’ebreo al Creatore.
Si può quindi comprendere la sorpresa di Moshé per quella tassa di mezzo shekel. Non gli sembrava inconsueto che si potesse espiare una colpa speciale con un sacrificio e un’offerta, ma come mai mezzo shekel poteva bastare per espiare l’adorazione del vitello d’oro, una colpa che aveva corrotto l’essenza stessa dell’anima?
E tuttavia le parole della Torà definiscono l’obolo di mezzo shekel: …un’espiazione delle loro anime.
Ma se anche un uomo offrisse a D-o tutte le sue ricchezze, basterebbe questo a riscattare la sua Nefesh (anima)? È forse possibile che con l’offerta di una qualsiasi somma di denaro l’uomo redima la propria anima?
Il dubbio di Moshé trova il suo chiarimento nella particolare natura della mitzvà del mezzo shekel.
(Saggio basato su Likuté Sichòt, vol III, 923; tradotta in Il Pensiero della Settimana, a cura del rabbino Shmuel Rodal).
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