Il precetto della Torà riguardo al mezzo shekel, pone l’accento sulla necessitò di dare la metà di una moneta intera. Ciò è difficile da comprendere.
Dato che si deve sempre dare a D-o il meglio (Vayikrà 3, 16; Rambam, Hilchòt Issuré Mezià) perché la Torà richiede allora solo mezzo shekel?
Inoltre, in considerazione del fatto che questa mitzvà serviva per espiare il peccato dell’idolatria, l’offerta di una moneta intera, di una somma non frazionata, non sarebbe forse stata una riparazione più appropriata?
E invece la Torà insiste sul mezzo shekel.
Per espiare il peccato del vitello d’oro non era necessario che l’ebreo offrisse all’Onnipotente una moneta intera. Egli doveva invece dare mezzo shekel ed il significato di questo è che D-o e il suo popolo non sono come l’unione di due entità separate, dove ogni parte rimane distinta dall’altra, ma piuttosto che l’unione dell’ebreo con il Creatore è tale che solo assieme formano un’unità perfetta.
L’ebreo – così come tutte le creature umane in genere – senza D-o è qualcosa di incompleto, di incompiuto: è una semplice metà. Solo quando è unito all’Onnipotente egli diviene una persona intera e completa. Come soleva dire il precedente Rebbe di Lubavitch di benedetta memoria: «Non c’è ebreo che voglia o possa vivere separato dalla Divinità».
Per quanto riguarda l’Onnipotente, il Talmud insegna ciò che D-o dice: «Essi saranno i miei figli, qualunque cosa accada. Che li sostituisca con un altro popolo è impossibile!» (Talmud Kiddushin 36a).
L’ebreo e il suo Creatore sono due metà indivisibili che insieme formano un’unità assoluta e perfetta.
(Saggio basato su Liquté Sichòt, III, 926b-297b; tradotta in Il Pensiero della Settimana, a cura del rabbino Shmuel Rodal).
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