Il giorno in cui lo Tzémach Tzedek, Rabbi Menachem Mendel, terzo Rebbe di Lubavitch, doveva recarsi per la prima volta al cheder, scuola religiosa, egli fu accompagnato dal suo nonno, il Rebbe Shneur Zalman. Il Rebbe chiese al melamed, l’insegnante, di cominciare la lezione con la prima parte del libro di Vayikrà, Levitico.
Dopo la lezione il bambino chiese al nonno: “Perché la lettera alef di Vayikrà è scritta in piccolo?”
Il Rebbe Shneur Zalman ebbe un momento di riflessione e rispose: “Le lettere della Torà sono di dimensione media. In casi veramente eccezionali, sono più grandi o più piccole della media.
Adamo era la creatura di D-o stesso, ecco perché aveva un’intelligenza superiore alla norma. Questa intelligenza superava anche il livello di saggezza degli angeli. Lui era consapevole delle proprie qualità, allora divenne velocemente fiero e orgoglioso. E questo lo portò alla caduta e lo spinse a commettere il peccato dell’Albero della Conoscenza.
Moshé invece era dotato di qualità eccezionali e ne era consapevole. Eppure, questo non fomentò in lui nessun orgoglio. Anzi, il suo cuore era pieno di modestia.
Moshé era convinto di godere di una situazione unica e pensava che se un’altro Ebreo avesse ricevuto lo stesso privilegio, avrebbe sicuramente raggiunto un livello ben più alto del suo. Un’altro uomo avrebbe potuto portare a termine delle missioni molto più rilevanti di Moshé figlio di Amram.
Adamo era consapevole e fiero delle proprie capacità ed egli peccò. Ed è per questa ragione che la Torà usa, una volta (Cronache I 1, 1), una alef grande per scrivere il suo nome. Invece, quando la Torà dice che D-o si rivolse a Moshé, l’uomo più umile che sia, scrive Vayikrà, lo scrive con una alef piccola.”
Raccontato da Eliahou Dahan
Tratto da Pocket Torah, una pubblicazione di Chabad Piazza, a cura di Chabadroma.org
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