Capitolo 41, 1-57. Trascorso il termine di due anni da che Yossef interpretò i sogni del panettiere e del coppiere, quand’anche Faraone sognò: gli parve di vedere uscire dalle acque del Nilo sette vacche grasse seguite da sette vacche magre che divoravano le prime. E poi gli parve di vedere sette spighe rigogliose che venivano inghiottite da sette spighe esili e appassite.

I maghi da lui consultati non seppero spiegare i sogni.

Fu allora che il coppiere si ricordò di Yossef che gli aveva interpretato il sogno in modo veritiero e ne parlò al re, consigliandolo di chiamarlo a corte perché gli chiarisse il significato dei suoi sogni. Yossef fu condotto a corte e spiegò che i sogni annunciavano prima sette anni di grande abbondanza e poi sette anni di grave carestia. Egli proponeva, quindi, di requisire i raccolti durante i primi anni e di mettere via quanto più grano possibile, al fine averne a disposizione anche durante gli anni di carestia. Faraone, ammirato l’acuto ingegno di Yossef, lo nominò suo vice re giungendo ad affermare come, da quel momento in avanti, egli stesso sarebbe stato superiore a Yossef solo per il trono.

L’incarico specifico conferito a Yossef fu di sovrintendere alla raccolta e alla seguente ridistribuzione del grano, ma di fatto il faraone lo prepose alla sua casa e a tutta la terra dell’Egitto donandogli un anello che tolse dalla sua mano, una catena d’oro, vesti e la carrozza speciale che egli aveva per il suo vice re. Gli cambiò nome e scelse per lui una moglie. Yossef aveva 30 anni quando ciò accadde. Vennero gli anni di abbondanza ai quali seguirono quelli di carestia e Yossef aprì i magazzini agli egizi che si presentavano, ma accadde che anche dalle terre vicine giungessero richieste di aiuto, perché la carestia era grande in tutta la regione.

Capitolo 42, 1-38. La carestia si fece sentire anche nella terra di Canaan, dove viveva Ya’aqov con i suoi figli che, ad eccezione di Beniamino, furono inviati in Egitto a far provviste di grano.

Yossef, non appena li vide, li riconobbe, ma non fu a sua volta riconosciuto; dopo avere loro poste alcune domande, di proposito, li accusò in un primo tempo di essere spie, affermando che essi avrebbero potuto dimostrare la loro buona fede e l’onestà con cui avevano intrapreso il viaggio, tornando a casa e ripresentandosi a lui in seguito con il loro fratello minore, che dicevano di aver lasciato con il vecchio padre.

Trattenne con sé Sim’on, per essere sicuro che sarebbero tornati e rimandò gli altri con il grano necessario alle loro famiglie, ordinando di mettere anche nel sacco di ognuno il denaro dato in pagamento.

Giunti a casa i fratelli raccontarono al padre l’accaduto e cosa il ministro egizio richiedeva da loro, mostrando al padre anche il denaro che avevano trovato nei sacchi. Riferirono al padre anche la richiesta di Yossef, assai dolorosa per lui: la volta successiva, Beniamino avrebbe dovuto essere con loro; Ya’aqov si oppose, ma Ruben si rese garante per la vita del fratello Beniamino dicendo al padre di prendere pure i suoi propri figli e farli morire se non lo avesse ricondotto a casa salvo.

Capitolo 43, 1-34. Esaurito il grano che avevano portato con loro dal primo viaggio, fu necessario prepararsi per un secondo viaggio. Ancora una volta Ya’aqov si oppose alla partenza di Beniamino. Questa volta intervenne Yehuda rendendosi garante per la vita del fratello minore. Ya’aqov infine acconsente facendo loro prendere denaro doppio e regali per Yossef che, quando li vide giungere insieme a Beniamino li ricevette con grandi onori e con affabilità li invitò a desinare nella sua residenza chiedendo loro notizie dell’anziano genitore.

Capitolo 44, 1-17. Quindi, congedandoli, fece mettere di nascosto nel sacco di ciascuno di loro il denaro, ma in quello appartenente a Beniamino ordinò che si mettesse la sua coppa d’argento. Non appena i fratelli, ignari, si allontanarono dalla dimora di Yossef, egli inviò alcune guardi e fermarli, obbligandoli a presentarsi ancora al suo cospetto; là li accusò del furto e li sottopose a una perquisizione, minacciando di tenere presso di sé come schiavo colui che sarebbe stato trovato in possesso della sua preziosa coppa, che gli era così cara. Naturalmente, scoperta la refurtiva nel sacco del fratello più giovane, Yossef dispose che gli altri partissero, mentre il ragazzo avrebbe dovuto trattenersi in Egitto.

La sorpresa, la vergogna e la paura delle dolorose conseguenze, soprattutto l’idea di doversi ripresentare al padre senza Beniamino, atterrì i fratelli; come se il ragazzo fosse già morto si strapparono le vesti in segno di lutto, indi si gettarono ai piedi di Yossef.

Yehudà ebbe il coraggio di parlare, e il suo fu un discorso da uomo responsabile e da figlio che voleva risparmiare al padre un gran dolore e che, non potendo negare l’evidenza del furto, per quanto non sapesse spiegarselo, non trovava altra via d’uscita se non quella di offrirsi schiavo, insieme ai suoi fratelli, compreso Beniamino: sarebbe stato meglio che non tornasse nessuno, piuttosto che presentarsi all’anziano genitore senza il figlio più giovane.

Yossef – pur comprendendo che tra i fratelli esistevano ora solidarietà e affetto che un tempo erano mancati – rispose inflessibile che egli avrebbe trattenuto solo il colpevole: gli altri erano liberi di far ritorno in pace dal loro amato genitore.