La Torà parla più volte dell’istituzione della decima – in Vayiqrà 27, 30; in Bamidbar 18, 26; in Devarim 14, 22. In quest’ultimo libro si parla del ma’aser shenì, la seconda decima, che si preleva dai prodotti e dagli animali che il proprietario dei campi o delle greggi. Il proprietario doveva portarla e consumarla al Santuario. Se, però, la distanza dal luogo di residenza alla destinazione fosse stata troppo grande gli era permesso cambiare le offerte in denaro di cui godere poi nel luogo del Santuario dando vita a feste familiari a cui si raccomanda di far partecipare il levita che era privo di proprietà e doveva essere il commensale più degno in quelle sacre e liete occasioni.

La Remissione dei Debiti

Nella Torà il decreto di osservare la Shemittà (Devarim 15, 1-11) è espresso in due comandi: non si deve lavorare la terra e tutti i debiti sono cancellati.

Il secondo non è ben noto quanto il primo, sebbene, diversamente da esso, si applichi non solo in Israele, ma dovunque vi siano ebrei nel mondo. Ogni ebreo che deve a un altro ebreo una somma di denaro, e sia quindi in debito verso di lui, sarà libero nell’anno della cancellazione.

In questo modo il precetto viene a toccare molte più persone, rispetto a quelle legate alle leggi agricole; in più nella società moderna dove così tante imprese sono finanziate da prestiti il cui pagamento viene dilazionato nel tempo, il comando biblico viene a cancellare tutti i debiti a lunga scadenza.

La Torà, inoltre, non dimentica le difficoltà che pesano su colui che non ha denaro e mette in guardia riguardo al negare l’aiuto al proprio vicino non concedendo un prestito, ricorrendo al semplice espediente di non dare denaro a causa dell’approssimarsi dell’anno della cancellazione, per timore che non venga reso nel tempo stabilito.

Guardati bene dall’avere nel tuo cuore qualcosa di perverso che ti induca a dire: si avvicina il settimo anno, l’anno della remissione e tu divenga avaro verso tuo fratello povero tanto da distogliere lo sguardo da lui e non dargli nulla, tanto che egli gridi contro di te al Signore: il che verrebbe considerato un peccato per te (Devarim 15, 9).

Il Sefer Hachinuch spiega così la motivazione sottesa dalla Torà nel porre questa mitzvà. Noi renderemo stabile nei nostri cuori grande fiducia e fede nel Signore, benedetto Egli sia. Tramite ciò erigeremo una barriera e un recinto di ferro per restare lontano dal furto e dall’avarizia nei confronti di tutto ciò che è nelle mani di chi ci è accanto, perché nei nostri cuori avremo compreso, tramite un ragionamento logico, che anche nel caso una persona avesse prestato denaro proprio, la Torà dice che dobbiamo lasciarlo nelle mani di colui che lo ha ricevuto quando giunge l’anno della cancellazione, e ciò è posto proprio nel medesimo modo del comandamento che afferma che non si deve rubare o bramare ciò che appartiene a un altro.

Nel Talmud (Ghittin 37a) si stabilisce che prestiti di qualsiasi tipo siano annullati dalla cancellazione, tranne quelli vincolati a un contratto scritto o garantiti da una proprietà.

L’Istituzione del Pruzbul

Malgrado l’importante lezione morale e religiosa che ci deriva dalla mitzvà della Shemittà kessafim, la cancellazione dei debiti, e malgrado il fatto che la sua osservanza sia una specifica prescrizione della Torà concernente sia un comando positivo, il cancellare, sia uno negativo, nessuno può sottrarsi dal concedere un prestito temendo di perdere ciò che ha dato, la realtà è che quando le circostanze economiche diventano difficili, non tutti sono in grado di vivere secondo questi ideali elevati: il ricco semplicemente rifiuta di prestare denaro al povero nell’imminenza della Shemittà, mosso dal timore di non riaverlo indietro. Come conseguenza di ciò Hillel il Vecchio giunse alla conclusione che era necessaria un’azione drastica, in questo modo e secondo queste valutazioni egli istituì la pratica del pruzbul.

I rabbini non sono assolutamente autorizzati a cancellare o modificare un imperativo della Torà, sono in ogni caso, vincolati a tenere conto delle proibizioni della Torà. Hillel comprese che, nella pratica, dall’osservanza delle leggi che impongono la cancellazione di tutti i debiti – parte del cui principio è prevenire che i poveri si debbano addossare l’onere della restituzione di somme sempre più grandi – risultava che i meno abbienti fossero privati completamente della possibilità di ricevere prestiti, così che si venivano a trovare, in quel periodo, in condizioni assai peggiori di quelle in cui sarebbero stati senza la protezione della Shemittà kessafìm.

D’altro canto i ricchi incorrevano in una grave trasgressione non concedendo prestiti, ignorando, cioè, un comando della Torà.

Considerate le circostanze Hillel individuò un sistema, il pruzbul, che avrebbe permesso al creditore di riscuotere anche dopo l’Anno Sabbatico senza per questo violare alcun comando della Torà. In questo modo la sua intenzione fu quella di aiutare tutto il popolo ebraico: il ricco si sarebbe fatto carico della sua responsabilità di aiutare il prossimo, mentre il povero ne avrebbe tratto beneficio avendo comunque la possibilità di contrarre un prestito in ogni momento.

Il pruzbul è una misura legale che trasferisce un debito privato al bet din, il tribunale ebraico.

La Shemittà kessafim cancella solo i debiti contratti a livello informale tra le persone, non i contratti in mano ai tribunali. La corte può riscuotere il debito secondo i termini stabiliti, anche dopo l’Anno Sabbatico. I tribunali ebraici avevano il potere di trasferire i beni a loro piacimento e, in questo caso specifico, poterono assumersi l’onere di ridistribuire i fondi venuti in possesso della corte, cioè i debiti riscattati, ai loro proprietari originari facendo di loro “agenti della corte” addetti alla raccolta. Poi il tribunale stesso trasferiva ai creditori il denaro. In questo modo tramite l’uso di tecniche assolutamente rispettose della halakà, ovvero perfettamente legali, Hillel ideò un sistema per evitare le conseguenze negative della Shemittà kessafim. (La mishna spiega come si deve fare utilizzando una formula semplice. Una versione più lunga dell’atto del pruzbul si trova in Melechet Shlomo, cap. 10, Mishnà 4, Shevi’it. Un facsimile del pruzbul dal Chazon Ish è stampato nella sua biografia, Pe’er Hador, vol. II, p. 245. Altre versioni sono menzionate nell’Iggerot Moshé, Choshen Mishpat 19 e Minchat Yitzchak 6, 160. Il testo standard è stampato in Luach di Èzra Torà).

Malgrado ciò, comunque, la Ghemara (Gittin 36a) si meraviglia di come Hillel poté assumersi l’onere di rendere praticamente nulla una pratica comandata dalla Torà.

Due risposte vengono presentate per risolvere la questione: prima di tutto Shemittà kessafim si applica, secondo la Torà stessa, solo quando le leggi della Shemittà vengono rispettate nella loro completezza per quanto riguarda, cioè, anche il lavoro della terra e l’utilizzo dei prodotti dell’agricoltura, e quindi di conseguenza solo in questo caso si può effettuare un pruzbul.

In secondo luogo se da un lato la Shemittà kessafim è una legge della Torà, è altrettanto vero che i tribunali ebraici hanno il potere di confiscare le proprietà: fu soprattutto a questa facoltà che Hillel si appellò per ottenere che le corti passassero in possesso dei debiti privati considerandoli come stipulati sotto contratto del bet din.

(Tratto da Il Giubileo Rigenerazione della Terra e dell’Anima, Lulav Editrice).