Che gli ebrei fossero schiavi in Egitto è noto a tutti. Un aspetto che spesso non viene rilevato è che un'intera tribù, quella di Levi a cui apparteneva Moshé, era esentata dai lavori forzati.

Il Faraone ha quindi riconosciuto l'esigenza per ogni popolo di avere un leader, una guida come riferimento, come capo carismatico spirituale; egli ha riconosciuto la necessità di un'autorità che appartenesse a uno stato sociale più elevato rispetto al "volgo".

Di conseguenza, ha permesso che i Leviim si occupassero in tutta libertà dello studio della Torà per trasmetterne gli insegnamenti al popolo e portare avanti il rituale ebraico.

Filosofia di vita
L'errore del Faraone è stato quello di separare la sfera strettamente religiosa da quella "laica"; i riti religiosi da una parte e la vita quotidiana dall'altra.

A Moshé era concessa una certa autorità, a condizione che limitasse il suo operato nell'ambito del rituale. Quando però il leader del popolo ebraico si è recato dal Faraone chiedendogli di permettere a tutto il popolo di servire D-o in libertà fuori dai confini dell'Egitto, ha commesso una "ingerenza" della sfera religiosa in quella laica, quotidiana. E la risposta del Faraone è stata decisamente negativa.

L'ebraismo non è una religione, intesa come insieme di norme di culto; non è corretto quindi parlare di una sfera sacra religiosa distinta da quella laica profana. La Torà non procede a settori ma è una filosofia di vita globale, che comprende norme pratiche di applicazione dei principi teorici. Moshé ha sfidato la più alta autorità egizia per sostenere questo principio, a rischio della propria vita. D-o gli ha garantito il successo, ponendo fine all'esilio.