E dissero al Faraone: «Così ha detto Hashèm, D-o di Israèl: “Manda il mio popolo”...» (Shemòt 5, 1).

Disse Rabbi Chìya bar Abbà: «Quel giorno era il compleanno del Faraone. Vennero da lui i re dall’Oriente e dall’Occidente e gli portarono in regalo delle corone, poiché lo consideravano il loro sovrano, il re di tutti i re. Mentre si accingevano a incoronarlo, Moshé e Aharòn arrivarono alle porte del palazzo reale. I guardiani di Faraone annunciarono l’arrivo di questi nuovi ospiti: «Sire, vi sono due anziani all’entrata del palazzo». «Entrino!» rispose il sovrano. Il palazzo del Faraone aveva quattrocento porte, tutte sorvegliate da leoni e altre bestie feroci. Nessuno avrebbe mai potuto varcare alcuna di queste soglie, a meno che gli animali non fossero stati veramente sazi. Ma quando arrivarono Moshé e Aharòn, tutte queste feroci creature si radunarono docilmente attorno a loro, leccandone affettuosamente i piedi. Quando i due messaggeri di Hashèm furono al cospetto del Faraone, maestosamente accompagnati da questi animali, tutti i re notarono che i due uomini erano simili agli angeli; erano alti come i cedri del Libano, i loro occhi risplendevano come stelle nella notte, le loro barbe erano candide come la neve, i loro volti erano raggianti come il sole, i loro bastoni – sui quali era inciso il temibile nome di D-o – erano di prezioso zaffiro e le parole uscivano dalla loro bocca come fiamme ardenti. Vedendoli, i re si impressionarono molto: iniziarono a tremare, poiché grande e profondo era il loro timore. Si tolsero la corona dalla testa e si inchinarono umilmente ai piedi di Moshé e di Aharòn mentre Faraone rimase seduto, aspettando che i due ospiti inattesi lo incoronassero o gli consegnassero qualche missiva.

«Chi siete e che cosa desiderate?» chiese. «Siamo inviati del Santo Benedetto – risposero – e abbiamo un messaggio da riferirti: “Così ha detto il Signore, D-o di Israèl: manda il mio popolo...”». Il Faraone, infuriato, disse: «Chi è D-o perché io debba ascoltare le sue parole? Non libererò gli ebrei! Aspettate, però – continuò – voglio controllare nella mia lista degli dei se compare anche il vostro D-o».

Trovò il dio del popolo di ‘Ammòn, quello del popolo di Moàv e anche quello di Sidone, ma non quello degli ebrei. Rabbi Levì continuò: «Si può spiegare questo suo comportamento con una parabola. Un cohèn aveva un servitore molto sciocco. Un giorno il cohèn partì per un viaggio, senza però avvertire il servitore. Quest’ultimo, allarmato per la sua assenza, andò a cercarlo al cimitero (i cohanìm non possono entrare nei cimitero, n.d.r.) e chiese ai guardiani: “Avete per caso visto il mio padrone?”. “Chi è il tuo padrone?” gli chiesero. “Si chiama Moshé Cohèn” rispose. “Sciocco! Come fa a venirti in mente di cercare un cohèn in un cimitero?”.

Così risposero Moshé e Aharòn: “Faraone, come puoi cercare un vivo tra i morti? Gli dei che hai nella tua lista sono dei morti, sono statue inanimate. Il nostro D-o, invece, è un dio vivo, è il D-o della vita e lo sarà per sempre!”».

Midràsh Shemòt Rabbà,
Parashàt Shemòt