Nel capitolo settimo della parashà di Vaerà si legge che D-o disse a Moshe: Il cuore di faraone è kaved e rifiuta di mandare via il popolo (Esodo 7, 14).
Rashi spiega che kaved significa duro e non indurito. Il versetto allora si legge: Il cuore di faraone è duro… e non Il cuore di faraone si è indurito (nel senso di: è diventato più duro)…
Il significato letterale, dunque, induce a pensare che, se una persona è estremamente ostinata, nulla potrà smuoverla dalle sue posizioni e, per quanto il suo intelletto gli suggerisca una determinata linea di comportamento, e il suo stesso cuore l’accetti, di fatto gli è semplicemente impossibile agire secondo tale condotta.
Alla luce di quanto detto, è possibile comprendere la profondità del commento midrashico in merito alla parola kaved che dice che il cuore di faraone si è indurito come quella parte del corpo che è designata con il nome di kaved, il fegato (Midrash Rabbà 9, 8. Cf anche Midrash Lekach Tov sul medesimo versetto e ancora Shemot Rabbà 13, 3).
Lo Zohar nota che tre organi “comandano” il corpo umano: la mente, il cuore e il fegato e ciò corrisponde a tre aspetti di intelletto – la mente – di emozioni – il cuore – e di azione – il fegato (II Zohar 153a).
La relazione tra kaved – inteso come un indurimento del cuore – e kaved – interpretato invece come fegato è la seguente: l’ostinazione si riferisce al potere d’azione dell’uomo – facoltà regolata dal fegato; quando non vi sono ragioni intellettuali e emozionali che governano e presiedono a un determinato tipo di azione, una persona persista nella sua ostinazione.
Rashi spiega ancora che possiamo capire come faraone fosse duro di cuore – e non semplicemente che in quell’occasione il suo cuore si indurì – perché vi sono due tipi di ostinazione. La prima porta solo ad agire in un modo ostinato e duro, mentre la seconda è parte dell’essenza stessa di un uomo e non si manifesta solo nelle azioni, ma nel suo carattere ed influenza ogni tipo di relazione e di reazione rendendo la persona intrattabile.
Questo è il caso di faraone: egli era ostinato in modo intrinseco.
La ragione profonda per cui D-o mandò le piaghe su faraone fu quella di distruggere tale cattiva ostinazione (Torà Or, Vaerà).
Per opporsi e annullare un tratto malvagio è necessario possedere la medesima caratteristica, con i tratti della santità, però. Infatti sappiamo che l’ostinazione è necessaria anche nel mettere in pratica cose sante – come l’accettare il giogo divino in modo assoluto che trascendente l’intelletto e le emozioni. Il servizio Divino svolto così non necessita di alcun cambiamento.
Se si accetta il giogo Divino sottomettendo il proprio agire all’intelletto e alle emozioni inevitabilmente ci si avvicinerà al volere Divino in modo sempre differente, a seconda dello stato d’animo, perché sia l’intelletto sia le emozioni sono sentimenti mutevoli. Ma se invece ci si avvicina al servizio Divino con “il cuore duro” e con ostinazione, sicuramente il servizio sarà costante.
Per annullare l’ostinazione volta al male è necessario che la santità sia durezza di cuore piuttosto che frutto di un indurimento del cuore, perché nell’accettare il giogo Divino vi sono due condizioni generali:
Una persona può farsi carico del giogo Divino come un semplice servo accetta i comandi del suo padrone, forse il servo desidererebbe adempiere ai suoi propri desideri piuttosto che eseguire il volere del padrone, ma tuttavia forza se stesso in tale direzione, andando anche contro la sua volontà personale. Questo modo di servire è più elevato rispetto a quello che si potrebbe svolgere assecondando anche il proprio piacere personale, sia a livello intellettuale che emozionale.
C’è, però, una forma ancora più alta di accettazione del giogo Divino, quello che comporta un annullamento completo di se stessi nella Volontà Divina, al di là di ogni misura e oltre ogni limite. Questo comporta l’essere “duri di cuore” in modo tale che il tratto spirituale saliente dell’essenza di ciascuno, la durezza di cuore nel perseguire il Volere di D-o vanifichi l’ostinazione del male trasformandola in santità.
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