La Parashà precedente si conclude con la domanda-protesta di Moshè: "Da quando mi sono recato dal Faraone per parlare in Tuo nome, la sorte di questo popolo è peggiorata e non hai [neppure] salvato il Tuo popolo!"
È interessante notare che il primo versetto della risposta del Sign-re conclude la Parashà precedente e la risposta continua nell'inizio della Parashà in questione, Va'erà.
"Ora vedrai ciò che farò al Faraone, poiché con mano forte ti lascerà andare... Apparvi ad Avrahàm, Yitzchak e Ya'acòv come 'D-o Onnipotente', ma con il mio nome 'Hashèm' (il tetragramma) non mi feci conoscere da loro". (Shemòt 6, 1-3).
In effetti D-o stava dicendo a Moshè che anche i patriarchi furono sottoposti a varie prove, ma non avevano posto in dubbio le Sue vie (Talmùd Sanhedrìn 111a).
È chiaro che Moshè non era un qualsiasi ribelle e che il suo atteggiamento andrebbe capito nel contesto del suo livello spirituale anche rispetto a quello dei patriarchi.
Rabbì Shneor Zalman di Liadì spiega nel suo Likutè Torà (Bemidbàr 94d) che Moshè serviva il Creatore principalmente attraverso l'intelletto (ed è proprio per questo che la Torà, la saggezza di D-o, fu da lui trasmessa) mentre l'aspetto essenziale dell'operato degli avi era quello che nasceva dai sentimenti emotivi del cuore.
Avrahàm, Yitzchak e Ya'acòv rappresentano infatti rispettivamente l'amore il timore e la misericordia, dei sentimenti, mentre Moshè rappresenta la saggezza.
Dunque la domanda di Moshè non era fuori luogo: l'impossibilità di percepire le vie del Sign-re avrebbe indebolito il suo legame con Lui, legame che si basava appunto sull'intelletto.
La domanda non era quindi una forma di mancanza di rispetto ma un modo per avvicinarsi al Sign-re cercando di capirne meglio le vie.
D-o ricorda a Moshè di esserglisi rivelato con il Tetragramma, ossia il nome che rappresenta la Sua trascendenza di tutti i limiti. Il messaggio sarebbe quindi che anche Moshè avrebbe dovuto trascendere i propri limiti e servire D-o non solo con l'intelletto ma anche con la fede e l'emozione, uscendo quindi dai propri limiti.
Il messaggio è concreto e valido anche oggi. Se sei razionale per natura, sappi che per servire D-o nella maniera più giusta e completa devi dare espressione anche ai lati emotivi che nascondi in te. Se invece sei di indole emotiva e sentimentale, lascia che anche il tuo intelletto scopra la bellezza che si cela
nella Torà.
Perché servire il Sign-re significa dedicargli tutto se stesso, tutta la propria persona, in ogni luogo e momento.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch
di rav Shalom Hazan
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