Domanda: Tutti sanno che i matrimoni ebraici vengono celebrati sotto una chuppà, un baldacchino, tuttavia nessuna delle persone che ho interpellato mi ha saputo dire il motivo di questa usanza.
Risposta:
Da quanto tempo la stiamo attuando?
La parola “chuppà” appare nel testo della Torà (Gioele 2:16 e Salmi 19:6), in riferimento a una tettoia o camera designata per lo sposo o la sposa prima del matrimonio; più avanti, nell’epoca della Mishnà, la parola “chuppà” cominciò a riferirsi al matrimonio stesso. E negli ultimi cinquecento anni circa, per “chuppà” si intende il baldacchino nuziale, fatto di tessuto e sostenuto da quattro pali, e anche la cerimonia che avviene sotto di esso.
Il doppio significato di “chuppà”
Un matrimonio ebraico è un’unione sublime di due anime ma è anche una transazione legale complessa, attraverso la quale la sposa e lo sposo stringono un rapporto reciprocamente vincolante. Molti aspetti del matrimonio hanno sia elementi legali che spirituali.
La chuppà come luogo
A livello legale, la funzione della chuppà è che gli sposi vengano portati in un luogo appositamente designato, dall’aspetto inequivocabile, espressamente allo scopo di sposarsi, e attivando la fase del matrimonio chiamata “nisuin”. La chuppà ha assunto varie forme attraverso i millenni. Ad esempio, esisteva l’usanza di costruire una struttura simile a una capanna composta di fiori e mirti come chuppà per la cerimonia nuziale.
Chuppà come azione
Secondo altre fonti halachiche, è sufficiente compiere un’azione che dimostra l’intenzione di designare la sposa come moglie per compiere l’atto legale. Perciò, nacque l’usanza di coprire sia la sposa che lo sposo con un pezzo di stoffa oppure con il tallìt durante la benedizione della cerimonia nuziale. Ciò si basa sulla richiesta di Rut a Boaz di “spargere [la sua] tonaca sulla [sua] ancella” (Meghillàt Rut 3:9). In alternativa, solo la sposa veniva coperta con un velo seguendo l’antica usanza riportata nella Torà riguardo al matrimonio dei nostri avi Yitzchàk e Rivkà, come è scritto: “Ella prese il velo e si coprì”.
La chuppà convenzionale
Attorno al sedicesimo secolo, o forse un po’ prima, emerse l’usanza, mantenuta anche al giorno d’oggi, di sposarsi sotto un baldacchino sostenuto da quattro pali, che serve come un locale apposito, con quattro entrate, nel quale lo sposo invita la sua sposa.
Con ciò si uniscono il concetto del luogo con quello dell’azione, visto che la coppia è coperta dal telo. La cerimonia sotto il baldacchino è preceduta dall’atto dello sposo che copre la sposa con un velo, per includere anche il concetto della copertura. Dopo che si sposano sotto il baldacchino, gli sposi si appartano per un’altra forma di chuppà.
Ognuno di questi elementi è parte integrante del procedimento e non va eliminato. Dopotutto, una nuova famiglia ebraica dovrebbe basarsi sulle fondamenta di Torà più salde possibili.
Perché all’esterno
Molti usano sposarsi all’esterno sotto il cielo aperto come simbolo che la coppia riceva la benedizione che D-o diede al nostro padre Avrahàm: “E moltiplicherò assai il tuo seme come le stelle del cielo e come la sabbia della riva…”.
Come abbiamo detto prima, il baldacchino con i quattro pali forma una stanza con quattro entrate. Secondo la tradizione ebraica, Avrahàm e Sarà avevano una forte passione per la mitzvà di invitare ospiti, hachnassàt orchìm, tanto da aver costruito una tenda particolare con un’entrata in ogni lato così che gli ospiti potessero entrare subito, da qualsiasi direzione provenissero. Quando una sposa e uno sposo stanno formando le basi per la loro vita futura, lo fanno sotto un baldacchino con quattro entrate come simbolo del loro impegno a costruire una casa che rispecchi questa tradizione di bontà e gentilezza.
Rav Yehuda Shurpin Chabad.org
Per ulteriori fonti, vedi la sezione domande e risposte su it.chabad.org
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