Di Tishà beAv, il giorno della distruzione dei Templi a Gerusalemme, si leggono le Kinòt, elegie che piangono la distruzione di Gerusalemme e il lungo e doloroso esilio che ne è conseguito.
Le Kinòt sono state scritte da diversi paytanìm (autori di poesie liturgiche classiche, note come piyutìm). Alcuni di questi paytanìm sono noti, altri un po’ meno e alcuni sono anonimi. Segue una lista di quelli più famosi, nell’ordine nel quale appaiono nel libro delle Kinòt.
Rabbi Elazar Hakalìr
Uno dei paytanìm più prolifici era Rabbi Elazar Hakalìr; oltre ad aver scritto molti piyutìm che si dicono durante l’anno, egli ha scritto le Kinòt più antiche che abbiamo (oltre al Libro di Echà, Lamentazioni). Le Kinòt che ha scritto sono quasi metà delle elegie recitate durante il 9 di Av.
Ci sono diverse opinioni riguardo l’identità di Rabbi Elazar Hakalìr, e dove viveva. Sembra che sia vissuto nella Terra d’Israele. Alcuni, come i Tosafòt1, mantengono che era il grande saggio del secondo secolo, Rabbi Elazar ben Shimon, descritto dal Midrash come un grande paytan2.
Alcuni, come Rabbi Shlomo ben Aderet (noto come il Rashba) spiegano che quel Midrash si riferisce ad un altro saggio, Rabbi Elazar ben Arach e poi lo identifica come Rabbi Elazar Hakalìr3.
Altri mantengono che visse nel sesto o settimo secolo mentre altri che visse nell’undicesimo o dodicesimo secolo; questo è alquanto improbabile perché Rabbi Saadia Gaon lo chiamò ‘uno dei paytanìm antichi4”. A prescindere dall’era in cui visse, è chiaro dalle sue elegie che aveva accesso a molti insegnamenti antichi del Midrash riguardo il Tempio e la distruzione, che purtroppo non esistono più.
Le Kinòt di Rabbi Elazar Hakalìr sono chiaramente basate sul Libro di Echà (Lamentazioni), le strofe sono spesso scritte in acrostico alfabetizzato, simile ai primi quattro capitoli del Libro di Echà.
Rabbi Meir ben Yechiel (13° secolo)
Rabbi Meir ben Yechiel è l’autore della ventunesima kinà Arzei Halevanòn Adirè Torà, Cedri del Libano, giganti di Torà”. Questa elegia toccante descrive come i Romani giustiziarono crudelmente dieci grandi saggi nell’epoca della Mishnà.
Dopo la distruzione del Tempio, i Romani pensavano che gli Ebrei si sarebbero assimilati, tuttavia dopo un po’ di tempo si resero conto che erano proprio la Torà e le Mitzvòt che davano forza al popolo Ebraico. Perciò inizarono una campagna intensa e brutale contro lo studio della Torà in pubblico e l’osservanze delle Mitzòt, e uccisero molti dei grandi maestri di quella generazione.
Rabbi Yechiel
Non ci sono certezze sull’identità di Rabbi Yechiel, l’autore della 23esima kinà secondo alcuni si tratta di Rabbi Yechiel di Parigi (1289), capo della yeshivà di Parigi che all’epoca aveva 300 allievi, molti dei quali divennero noti autori dei Tosafòt, commenti sul Talmùd.
Questa elegia struggente racconta la storia Talmudica5 di come il figlio e la figlia di Rabbi Yishmael il Sommo Sacerdote furono presi come prigionieri da due padroni diversi. I due padroni decisero che data la straordinaria bellezza dei due giovani, li faranno accoppiare e i figli verranno venduti a caro prezzo. Li isolarono in una stanza buia, di notte. Disgustati da ciò che i padroni volevano obbligarli a fare, i due piansero tutta la notte, all’alba si riconobbero l’uno l’altro e si abbracciarono, scoppiando a piangere nuovamente fino a quando le loro anime lasciarono i loro corpi.
Rabbi Kalonymus ben Yehuda (11° secolo)
Un discendente della nota famiglia Kalonymus, Rabbi Kalonymus ben Yehuda visse a Magonza in Germania. Dopo aver visto terribili atrocità drante la prima Crociata nel 1096, tra cui la distruzione delle fiorenti comunità di Worms, Speyer e Magonza, egli scrisse la 25esima kinà come lamento per la tragedia.
Rabbi Baruch ben Shmuel
Uno degli autori del commentario Tosafòt, Rabbi Baruch ben Shmuel scrisse molti piyutìm noti, come Baruch Kel Elyon, che viene cantato fino al giorno d’oggi durante i pasti di Shabbat. Nella sua elegia, la 32esima kinà, egli descrive le numerose meraviglie di Gerusalemme e pinage “ciò che ci è accaduto”, che non abbiamo più Gerusalemme in tutta la sua gloria nè l’opportunità che essa offriva di avvicinarsi a D-o in modo particolare.
Rabbi Elazar ben Moshe
Un residente di Würzburg, Bavaria, Rabbi Elazar ben Moshe scrisse un commento sulla Torà. La sua kinà, la 38esima, lamenta la distruzione ma ha anche un tono positivo, poiché focalizza sulla preghiera e la speranza che il Tempio verrà ricostruito. Essa descrive anche come gli angeli celesti continuano a vigilare su Sion e insieme alle anime di coloro che sono deceduti, continuano a pregare con fervore, per la pace la redenzione.
Rabbi Meir di Rotenburg
Noto come il Maharàm di Rotenburg (1220-1293) egli fu uno dei maggiori studiosi di Torà dell’epoca che subì una vita tragica e complessa. Da giovane studiò nella yeshivà del noto Rabbi Yechiel di Parigi e vide gli eventi descritti nella 41esima elegia, Shaali Serufà baEsh, la Torà che è stata consumata dal fuoco....
Nel 1242 (o nel 1244)6, dopo un dibattito tra Rabbi Yechiel di Parigi e i suoi allievi, contro un ebreo apostata di nome Nicholas Donin, il Re Luigi IX di Francia diede ordine che tutte le copie del Talmùd, insieme ad altri testi ebraici vengano raccolte e bruciate. 24 carri di testi e manoscritti di valore inestimabile, furono bruciati nel 6 Tammuz. Visto che questa tragedia avvenne prima dell’invenzione della stampa, quando ogni libro veniva scritto a mano, la catastrofe era enorme. Questo evento segnò l’inizio della fine della comunità ebraica in Francia, che venne espulsa dal paese nel 1305. Per diverse generazione molti usavano digiunare nell’anniversario di questo evento tragico7.
Rabbi Yehuda Halevì
Rabbi Yehuda Halevì visse in Spagna, ed è considerato uno dei più grandi poeti e filosofi ebrei. È rinomato per il suo testo, Il Kuzarì. La sua elegia più famosa, la 36esima, è Tzion halò tishalì, O Sion che tu non chieda. Questo piyùt descrive il grande desiderio di scappare dall’esilio e di camminare sulla terra della Terra Santa d’Israele.
Fu così che Rabbi Yehuda Halevì iniziò il viaggio verso Gerusalemme, c’è un dibattito se se sia giunto a destinazione o meno, ciononstante, Rabbi Gedalia ibn Yahya (16° secolo) scrive nel suo testo Shalshelet HaKabbalà che “Ho sentito da un uomo anziano che quando giunse alle porte di Gerusalemme, egli strappò la sua veste [in segno di lutto per la distruzione di Gerusalemme] e si inginocchiò in terra per compiere il versetto ‘Poiché i Tuoi servi provano piacere nelle sue pietre, e amano la sua polvere’ [Salmi 102:15] ed egli recitò l’elegia che aveva scritto ‘O Sion che tu non chieda’. Un Arabo a cavallo si ingelosì della sua estasi e lo calpestò con il suo cavallo, e morì”.
Secondo alcuni egli scrisse anche la 45esima elegia, Elè Tzion, il Lamento di Sion che si usa dire verso la fine delle Kinòt. In molte comunità si usa stare in piede e recitare questa elegia insieme, ha un significato particolare perché l’elegia trasmette un messaggio di speranza, che l’esilio ha uno scopo e che presto ci sarà la Redenzione Finale.
Rabbi Sholomon ibn Gabirol (1021-1058)
Nato in Malaga, Spagna, Rabbi Solomon ibn Gabirol è stato uno dei maggiori poeti ebrei. Una delle sue elegie, la 46esima, Shomron kol titèn, la Samaria emana la sua voce è l’ultima elegia che si dice di Tishà beAv. Questa è scritta come un dibattito tra due donne infedeli, sposate allo stesso uomo. Una rappresenta gli esuli di Giudea e l’altra le dieci tribù perdute; ognuna sostiene di aver sofferto di più durante questo esilio. L’elegia conclude con la preghiera che “Rinnova i nostri giorni come quelli passati, come hai parlato ‘il Sign-re ricostruisce Gerusalemme8’”.
Parliamone