Sono giunta alla conclusione che D-o propone “offerte promozionali senza impegno e con prova gratuita”, come se ne vedono spesso nelle pubblicità. A volte si può usufruire di tre mesi gratis, a volte di più o di meno. E i regali di benvenuto sono allettanti. Ho capito che è in questo modo che alcuni ebrei diventano praticanti sebbene provengano da un ambiente in cui c’è posto per la Torà.
Ne presi atto quando insegnavo in una scuola femminile di studi superiori ebraici. Alcune ragazze mi chiesero quale fosse stato il fattore che mi aveva spinta a cambiare modo di vita. Man mano che esponevo loro il mio percorso, iniziato dieci anni fa, mi resi conto che era stata la pubblicità ad attirarmi, c’erano stati dei “premi” e, arrivata al termine della scadenza, mi ero dimenticata di annullare l’abbonamento. Senza accorgermene, ero diventata membro del club, in regola con le quote associative e beneficiaria di vantaggi che oltrepassavano le mie aspettative. Sono convinta che D-o se ne intenda di marketing più di tutti. Altrimenti, perché una persona passerebbe da una vita “libera” a una che sembra più “condizionante”?
Non avevo la minima intenzione di diventare osservante. Pur essendo aperta a ogni eventualità, non volevo essere circoscritta da nessuna “restrizione”. Era l’età ideale per questo genere di approccio. L’ultimo anno di laurea lo frequentai in Israele ma, a causa di un serio alterco coi miei genitori, mi furono bloccati i sussidi. Trovai un impiego in un albergo per il quale si esigevano 45 ore di servizio settimanali e, con le cinque materie previste dall’università, non potevo certo permettermi il lusso di condurre vita sociale ed ero lungi da qualsivoglia preoccupazione spirituale. Per giunta, l’albergo offriva uno stipendio giornaliero doppio per chi lavorasse di shabbàt. Sebbene nella mia famiglia si rispettasse lo shabbat e si andasse in sinagoga, ero in uno stato psicologico e finanziario talmente disastroso che il mio unico assillo consisteva nel sopravvivere. Pertanto, non esitai un attimo e afferrai al volo quella preziosa opportunità.
Fu in quel periodo che “vidi la pubblicità”: gli ebrei osservanti. Gente buona, dalle ampie vedute mentali ed emotivamente serena. Parevano intrattenere privilegiate relazioni con D-o, mentre io mi rivolgevo a Lui solo quando ne avevo bisogno. E devo ammettere che Egli aveva sempre esaudito tutti i miei desideri. Visto che non disponevo di molto tempo, mi misi in contatto direttamente con Lui. Dopo la fase pubblicitaria, beneficiai degli abbuoni che piovvero a iosa. Indirizzavo una preghiera e l’esito positivo si presentava immediatamente. Come già menzionato, ero sovraccarica di impegni ed esausta, Gli chiesi quindi di rallentare il ritmo.
L’indomani mi presentai a un ristorante e fui subito assunta come cameriera. Ero remunerata il doppio per la metà delle ore! E l’attività era chiusa di shabbàt! Disponevo addirittura di spazio per assistere a lezioni di ebraismo. Dunque: guadagnavo bene, i fine settimana erano liberi, di shabbàt ero ospitata da famiglie residenti in loco, a Gerusalemme, e ogni mattina frequentavo, per brevi lezioni, una yeshivà femminile. A un certo punto, però, realizzai che la relazione era unilaterale: io ottenevo tutto e non davo niente in cambio.
Dovevo dare una svolta decisiva alla mia vita, eppure non mi sentivo ancora pronta a varcare la soglia. Poiché Shavu’òt si avvicinava, pensai che fosse il momento più propizio per la meditazione e per una profonda introspezione. Avevo programmato di vegliare tutta la notte di Shavu’òt studiando e, all’alba, di recarmi a piedi fino al Kotel. Ma i miei progetti furono scombussolati dalla visita di un’amica proveniente dagli Stati Uniti. Era venuta solo per una settimana e voleva assolutamente trascorrere qualche giorno anche in Egitto.
Così, durante Shavu’òt, mi trovai a Dahab, s ulla punta sud-est del deserto del Sinai. Tra le Magnifiche spiagge, l’atmosfera disinvolta, le tintarelle e i piatti succulenti dimenticai presto le mie aspirazioni metafisiche. Un giorno, la mia vicina di ombrellone attaccò discorso con tante domande sull’ebraismo. Non ero proprio d’umore giusto per parlare. Accettai comunque di risponderle. Nonostante le mie limitate conoscenze in materia, le spiegai con foga ed entusiasmo le gratificanti soddisfazioni intellettuali ed e mot iv e t r at t e dall’osservanza dell’ebraismo. La conversazione si protrasse per cinque ore, fino al tramonto. Prima di accomiatarsi, mi chiese qual era la prossima ricorrenza. Sentii una fitta al cuore, mi sentii quasi mancare.
Era già sera, quindi Shavu’òt era già iniziato. Ero a disagio con me stessa e con D-o. Mi era autoinferta un danno irreparabile. Depressa, andai lo stesso con gli amici al ristorante, come previsto. Lì incontrai, non senza stupore, Mike, un mio conoscente, il quale, sebbene non fosse molto praticante, era molto attratto dalla spiritualità. Gli domandai che cosa facesse lì. Mi disse che, secondo gli specialisti, Dahab era il luogo più vicino alla montagna del Sinai.
Lo seguii e ci accampammo in una capanna illuminata dalla fioca luce di una candela. Studiammo la Torà con una Bibbia bilingue. A un certo punto, sentimmo il bisogno di pronunciare una benedizione. Ne inventai una: ”Baruch atta Hashem...al haTorà”. Al sorgere del sole, in quello splendido paesaggio, mi determinai a rimanere in Israele e di frequentare un corso a tempo pieno di ebraismo. Ed ero risoluta a non esserne più una lontana spettatrice, ma un’attrice con un ruolo di rilievo.
Mi ritenevo meritevole di ricevere la Torà.
Camminai fino al mare recitando con tutte le forze del mio cuore, della mia anima e della mia mente la tefillà dello Shemà Israel. Sapevo che Hashem mi ascoltava, che mi aveva sempre ascoltata e che sempre mi ascolterà. Ed è così che finì il mio periodo di prova gratuito. Ero giunta alla scadenza, niente ripensamenti e tantomeno rimborsi. Ed era ciò che desideravo davvero.
Tradotto da Myriam Bentolilla. A cura di Sterna Canarutto
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