Quando Mosè apprese che la sua ora era venuta, rifiutò di ammetterlo. Vecchio e stanco di condurre attraverso il deserto inclemente un popolo malcontento e volubile che lo tormentava senza sosta, malgrado tutto teneva alla vita.

Vestito di sacco e cosparso di cenere, compose mille cinquecento versetti e tracciò un cerchio intorno a lui, dichiarando: «Io non mi muoverò di qui fino a che il decreto non sarà revocato».

Le sue parole, ancora una volta, fecero tremare l’universo fino alle sue fondamenta; il Cielo e la Terra si consultarono, sgomenti: «Che cosa succede? D-o avrebbe deciso di mettere un termine alla sua Creazione?».

Vennero in soccorso di Mosè i cinque libri della Legge, che portano il suo nome; essi implorarono D-o di prolungargli la vita; ma la loro intercessione restò senza effetto.

Il fuoco aggiunse i suoi sforzi ai loro; invano. E le lettere sacre si urtarono contro lo stesso rifiuto. E il nome di D-o si vide respingere da D-o stesso: anche il suo intervento si rivelò inutile.

Poi il mondo assistette a uno scambio di parole stupefacente tra D-o e Mosè, il Creatore si sforzava di persuadere il suo fedele servitore a sottomettersi alle sue leggi inesorabili.

«Tu devi morire, Mosè. Questo è necessario perché il popolo non faccia di te un idolo».

«Non hai Tu fiducia in me? Disse Mosè Non ho io fatto le mie prove? Non ho forse distrutto il Vitello d’Oro?».

D-o avrebbe potuto replicare che aveva fiducia in Mosè ma non negli altri; ma preferì fare appello al buon senso del suo profeta:

«Mosè, chi sei tu?»

«Il figlio di Amram» disse Mosè»

«Chi era Amram?»

«Il figlio di Isacco» disse Mosè.

«Chi era Isacco?»

«Il figlio di Kehat» disse Mosè.

«E Kehat chi era?»

«Il figlio di Levi» disse Mosè.

«E Levi?»

«Il figlio di Giacobbe, figlio di Isacco figlio di Abramo…» e continuò così fino ad Adamo, il primo uomo.

«Adamo! – disse D-o – e dove è Adamo?»

«Morto, rispose Mosè, Adamo è morto».

«E Abramo? E Isacco? E Giacobbe?»

«Morti, disse Mosè. Sono tutti morti. E anche gli altri. Tutti morti».

«In effetti – disse D-o – i tuoi antenati sono morti. E tu, solo tu, vorresti vivere in eterno?».

Ma Mosè, scoprendo in sé il dono della retorica, seppe difendersi:

«Adamo? – disse – Adamo ha rubato, ma non io. Abramo? Abramo aveva due figli dei quali uno non fa parte del tuo popolo. E la stessa cosa avviene per Isacco. Ma non per me. I miei figli sono entrambi Figli di Israele».

D-o sembrò perdere la pazienza:

«Mosè – disse con un tono più deciso – tu hai ucciso un egiziano. Per ordine di chi tu lo hai assassinato? Non per mio ordine!».

Ma anche questa volta Mosè seppe rispondere:

«Io non ho ucciso che un egiziano, ma Tu? Tu ne hai uccisi molti. Tutti i primogeniti, Tu hai ucciso. E Tu vorresti punire me?».

Mosè, intelligente, comprese tuttavia che questo argomento, per quanto buono fosse, non avrebbe affatto cambiato la situazione. La Volontà Divina riflette una Logica Divina e non umana. Allora, per la disperazione, chiamò in soccorso la Creazione tutta intera:

«Cielo e Terra, pregate per me!»

«Non lo possiamo fare».

«Sole e luna, pregate per me!»

«Non ne abbiamo il potere».

«Astri e Pianeti, pregate per me! Fiumi e Montagne, pregate per me!».

«No, no» risposero tutti.

«Noi dovremmo pregare per noi stessi, ma non ne abbiamo il potere».

Allora Mosè si rivolse al mare.

«Tu, intercedi in mio favore!»

E il mare, crudele e pieno di rancore, gli ricordò il loro primo incontro, negli anni passati, quando lui aveva condotto un popolo appena liberato in mezzo ad avventure snervanti.

«Figlio di Amram – disse il mare con un tono vendicativo e beffardo – cosa ti succede? Tu hai bisogno di me? Tu, che appena ieri mi hai fatto retrocedere colpendomi col tuo bastone, perché io lasciassi passare il tuo popolo?»

Mosè vide l’enormità della sua disperazione; abbandonato e impotente, mormorò:

«Una volta io ero un re, e comandavo; oggi io sono in ginocchio e tutto il mondo è indifferente».

Là in alto, in uno slancio di generosità, il potente Angelo del Viso Celeste, gli consiglio amichevolmente di non opporsi più al disegno di D-o:

«Io mi trovavo tra le quinte e ho sentito proclamare che il decreto era già sigillato, irrevocabilmente».

Mosè avrebbe dovuto seguire questo consiglio e andarsene con grazia e dignità. Ma non ne fece niente. Rifiutando di morire, continuava a piangere, a implorare, a chiedere con insistenza: che lo si lasciasse vivere almeno un altro giorno, un’altra ora. Lo si sarebbe detto un semplice mortale sgomento e non il Profeta dei profeti, colui che aveva impresso la sua visione sopra quella degli uomini, il Capo dei capi, che aveva sentito il soffio di D-o sul suo viso scoperto!

La sua disperazione era tale che egli si dichiarò pronto a rinunciare alla sua condizione umana in cambio di qualche giorno di vita:

«Padrone dell’universo – gemette – permettimi di vivere come un animale che si nutre di erba, che beve l’acqua delle sorgenti ed è soddisfatto di contemplare il giorno che nasce, cresce e tramonta».

D-o rispose di no. L’uomo non è un animale: deve vivere da uomo o non vivere affatto.

«Permettimi allora di restare qui come un uccello, amico del vento, che ogni sera torna al suo nido con un sentimento di gratitudine per le ore che aveva vissuto».

D-o rispose di no. L’uomo deve vivere e morire da uomo, come tutti gli uomini.

E D-o usò un’espressione stupefacente:

«Tu devi morire, Mosè. Tu hai già usato troppe parole».

Mosè non era affatto rassegnato. Lottò ferocemente fino alla fine, fino al momento in cui, bruscamente, chiamò la morte.

La sua violenta passione per la vita può certamente turbare.

Come mai Mosè, così zelante, così fedele, poteva opporsi alla volontà divina? O metterla in questione? Non è dunque un privilegio morire per D-o e la Sua Gloria?

Perché era così ansioso di continuare a vivere? Non era più giovane, dopo tutto: aveva raggiunto l’età di cento venti anni. E poi la sua esistenza era stata così felice? Provato, tormentato da D-o e dagli uomini, nessuno mai gli aveva dimostrato riconoscenza o anche solo amicizia. Il suo popolo lo aveva fatto soffrire così tanto che era giunto a dubitare di se stesso e della sua missione. Sempre incompreso, spesso rinnegato, non aveva mai provato grandi gioie – quelle che definiremmo le gioie materiali quotidiane – nella vita.

Perché dunque teneva tanto alla vita in questo mondo, invece di andarsene tranquillamente, con serenità, verso la pace infinita?

E se anche teneva tanto alla vita, perché dimostrarlo? Perché fece mostra del suo desiderio di vivere? È questo un comportamento degno del fondatore, della guida di un popolo? La maggior parte dei grandi uomini, come sappiamo, cercano di dissimulare le loro pene e di reprimere le loro angosce. Hanno l’ambizione di accogliere la morte con sdegno, o almeno con indifferenza. Come spiegare che il più straordinario tra i giganti umani fu, secondo la leggenda del suo popolo, diverso da tutti anche su questo punto? Avrebbe forse dimenticato Rabbi Aqiva, designato da D-o, che accettò il martirio in silenzio, anzi perfino con gioia?

Mosè. L’eroe più solitario e più potente della storia biblica. Per l’immensità del suo compito e l’ampiezza delle sue esperienze, strappa un’ammirazione e un rispetto sacri. Mosè, l’uomo che, unico, riuscì a cambiare il corso della Storia: il suo apparire segnò una linea di demarcazione, una svolta decisiva: dopo di lui niente fu più come prima.

Tratto dal sito Cyberdrasha.it