In ebraico, il quarto libro del Pentateuco, i Numeri, si chiama Bamidbàr (Nel deserto), ma viene anche definito Sefer Hapekudim (il Libro dei Conti). In effetti, esso reca un’infinità di cifre che sono i risultati del censimento degli israeliti. Nel primo capitolo si parla di 603.550 anime, con una lista dettagliata del numero esatto da cui era composta ogni tribù. Ventisei capitoli e trentanove anni dopo, sempre nel deserto, si effettua un nuovo censimento dal quale risultano 601.730 persone. La passione di Hashem di contare il suo popolo è palese. Il Sig-re usa l’espressione “Sollevare i loro capi” per ingiungere a Mosè di procedere al conteggio.

Lo Scopo del Conteggio

Sebbene il Suo intento è di farci capire che, nonostante i numeri, siamo un solo popolo, lo scopo principale è di trasmetterci il concetto basilare secondo il quale ognuno di noi è animato dalla stessa scintilla divina. Il denominatore comune tra gli esseri umani non è il fatto di possedere due corpi identici, bensì di possedere la stessa anima, una parte stessa di Hashèm con la quale Egli ci ha creati. Le differenze tra gli uomini non hanno alcun valore se si è capaci di far scaturire la fiamma divina che risiede in noi, l’infinita bontà e la perfezione della sua fonte e se siamo in grado di far emergere il bene presente in noi stessi e negli altri, in sostanza di risvegliare lo spirito divino che ci mantiene in vita.

D-o non ci conta per sapere quanti siamo, lo sa già, e tantomeno per mettersi in contatto con la quintessenza della nostra anima, non ne ha bisogno, è legato a noi in un moto perpetuo. Egli desidera illuminare la nostra corporalità e dare libera espressione all’anima al fine di renderla piùaccessibile alle nostre mere esistenze troppo vincolate dalla fisicità.

Una Breve Visita nel Deserto

Questo è il significato profondo di “Sollevare i loro capi”. Contandoci Egli stimola sia le componenti più basse che quelle più alte dell’essere umano, destando la scintilla che a volte scarichiamo nell’oblio. Nel deserto. Nel deserto non vi è nulla: né città né strade né uffici né fabbriche né società né gerarchie né capi né impiegati né banche né borse e tantomeno negozi di alimentari e d’abbigliamento. Abbiamo mangiato tutti la stessa manna e abbiamo calzato tutti lo stesso paio di sandali per quarant’anni. D-o non voleva nessun azionista nella sua Torà, nessuna struttura corporativa, alcun contesto sociale, politico, economico.

C’eravamo solo noi e la Torà. E allora non sarebbe stato meraviglioso rimanere nel deserto dove regnava la pari dignità per tutti? No. Appena captato il messaggio che la Torà è estemporanea, fuori da ogni punto di paragone, che non è il prodotto di un determinato schema socioculturale e che essa appartiene inequivocabilmente e in modo assoluto a tutti noi, Egli ci mandò nella polis. Il Suo compito è stato assolto, ora tocca a noi dare rilievo alla Torà nella frenetica, popolosa e disordinata giungla cittadina. Tuttavia, a volte è necessario tornare nel deserto. Anche se per una breve visitina, può essere gradevole ritrovare l’umiltà, la semplicità e la genuinità che ci avvolgevano al momento del Sommo Dono in quella spoglia landa desolata e su quel modesto monte Sinai.

(Likkutè Sichòt)