Uno degli eventi più traumatici della storia del popolo ebraico nell’epoca biblica è stata sicuramente l’imboscata di Amalèk agli ebrei appena liberati dall’Egitto. Amalèk è stato il primo popolo ad aver osato attaccare gli ebrei dopo che D-o li aveva miracolosamente redenti, e data la loro condizione vulnerabile (colti di sorpresa e indifesi, forse ancora confusi sul loro status di post-schiavitù) fu un attacco devastante. Nella parashà di questa settimana troviamo la mitzvà, alquanto strana, di ricordare ciò che ci ha fatto Amalèk: “Ricorda quello che ti ha fatto Amalèk nella via, quando uscisti dall’Egitto… Cancella il ricordo di Amalèk da sotto il cielo; non dimenticare!” (Deuteronomio 25:17-19). Questa mitzvà è una delle Sei Rimembranze, ossia uno dei sei eventi che ci viene comandato di ricordare ogni giorno, e che includono l’uscita dall’Egitto, il Dono della Torà al Monte Sinài e il ricordo dello Shabbàt come giorno di astensione dai lavori. Ci si chiede: cosa ha in comune l’episodio di Amalèk con le altre occasioni da ricordare, tra cui lo Shabbàt? Come si può tenere a mente due pensieri così diametralmente opposti – il simbolo perpetuo della Creazione ad opera di D-o e il popolo di Amalèk che Gli si è apertamente ribellato contro?
Vino e Aceto
Gli ebrei stessi lo fecero notare a Mosè, il quale rispose: “Un bicchiere di vino speziato non può essere equiparato a un bicchiere di aceto! Un ‘Ricorda’ ha lo scopo di osservare e santificare lo Shabbàt, e l’altro ‘Ricorda’ ha lo scopo di distruggere”. Perché Mosè paragona il ricordo di Amalèk a un bicchiere di aceto? L’aceto da solo non si può bere, ma mescolato ai cibi ne esalta il sapore. Inoltre, siccome l’aceto viene dal vino, ne conserva alcune proprietà. In termini spirituali questo significa che perfino un’esperienza così aspra come la battaglia contro Amalèk ha una sorgente di santità. Amalèk è definito “un popolo che conosce il suo Creatore e deliberatamente si ribella contro di Lui” (Torat Kohanìm, Bechukkotài 26:14): quindi l’esistenza di questo popolo è di per sé una testimonianza dell’onnipotenza del Sign-re. D-o ha creato un mondo contenente dualismo e poteri conflittuali tra di loro per darci la possibilità di sconfiggere il male e incanalarne l’energia per il bene; ecco perché Moshè paragona lo Shabbàt e Amalèk a un bicchiere: sono entrambi recipienti dell’energia Divina. Il recipiente dello Shabbàt (“il bicchiere di vino speziato”) non ha bisogno di essere ulteriormente lavorato e manipolato: lo si può bere così com’è, mentre il “bicchiere” di Amalèk non è adatto a contenere la Divinità fino a che non viene sottoposto a un procedimento di raffinamento: fino a che la sua tendenza alla ribellione non viene opportunamente mitigata e incanalata. Nel Tanya, Rabbi Schneur Zalman di Liadi descrive due tipi di prelibatezze: quelle dolci e quelle che sono amare o acide ma che opportunamente preparate possono diventare condimenti saporiti (cap. 27). Quando un malvagio si pente e torna a D-o, l’energia che ha investito nella malvagità viene convertita alla santità, e il buio delle sue azioni passate è trasformato in luce.
Shabbàt e Amalèk
Ecco come possiamo ricordare lo Shabbàt e Amalèk alla stessa stregua. Da un lato, di Shabbàt ci stacchiamo dalle faccende mondane e materiali, e potremmo pensare che sarebbe meglio rilegare Amalèk nell’oscurità dell’oblio; vogliamo assaporare il vino dolce, non l’asprezza dell’aceto. La forza di Amalèk però è così grande che perfino di Shabbàt dobbiamo ricordarcene per essere vigili e proteggerci da essa. D’altro canto, ci sono momenti in cui siamo completamente assorbiti dagli aspetti della vita di Amalèk: la sofferenza, le tribolazioni e il trauma. In queste situazioni, aggrapparci al ricordo dello Shabbàt ci aiuta a sollevarci al di sopra delle circostanze e a riconoscere che anche la malvagità dei nostri tempi è temporanea, e anch’essa ha una sorgente di santità. Se la vita ci porge un bicchiere di aceto, possiamo ricavarne forza e trasformarlo in una fermentazione vitale.
Di Chaya Shuchat, Chabad.org
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