“Ya’acòv non sarà più il tuo nome, bensì Israèl. Perché hai lottato con il divino e gli uomini e hai vinto”(Genesi 32,29). Così parlò l’angelo contro il quale Ya’acòv combatté una notte intera prima dello storico incontro con Essàv, suo fratello.
Anche ad Avrahàm fu cambiato il nome con l’aggiunta di una lettera la “hey”. Ma per lui fu un svolta definitiva nella vita, mentre per Ya’acòv i testi continuano ad usare il nome Ya’acòv assieme a Israèl, alternandoli spesso in uno stesso episodio. Per Avrahàm, la “hey” trasformò il nome da “padre innalzato” a “padre innalzato di una moltitudine”. Per Ya’acòv invece, si trattò di due nomi ben distinti tra loro e al contempo complementari. Ci sono elementi di Ya’acòv in Israèl e viceversa sebbene Israèl rappresenti un livello più elevato.
Un guerriero spirituale. Un esempio della differenza tra le due personalità, rappresentate dai due nomi, si trova nella profezia di Bilaàm, il profeta pagano che fu assunto da Balàk per maledire il popolo ebraico ma che poi, involontariamente, si ritrovò a declamare una delle più belle odi al popolo ebraico e al suo futuro. Nel secondo intervento di Bilaàm, c’è un versetto nel quale egli proclama: ”[D-o] non vede nessuna colpa in Ya’acòv e nessun dolore in Israèl”. Ciò significa che Ya’acòv conosce il dolore, ma le dure prove e le difficoltà non sono colpe agli occhi di Hashèm. Israèl invece, gode di un’esistenza tranquilla, priva sia di dolori sia di peccati. Egli nacque tenendo in mano il calcagno del fratello gemello, che uscì prima. Infatti, il nome proviene dalla parola “Ekev-tallone” ma “yaakòv” significa anche “sventare”. Anni dopo, quando si travestì per ricevere la benedizione che il padre Yitzchàk destinava al primogenito Essàv, questi disse: “Niente di sorprendente che si chiami Ya’acòv, “l’astuto” ! Due volte mi ha ingannato: mi ha sottratto il dirittodi primogenitura e ora mi ha anche sottratto le mie benedizioni.” Ya’acòv simboleggia l’ebreo al centro della battaglia, nella quale egli è spesso “al tallone”, ovvero deve affrontare gli aspetti più bassi della propria personalità e del suo ambiente. Una lotta che deve condurre in modo prudente ed elusivo, in quanto si svolge in territorio nemico, travestendo le sue intenzioni per poter sventare le trappole dei suoi avversari. Minacciato da un mondo ostile, sminuito dalle proprie lacune e dalle cattive inclinazioni, l’Ebreo-Ya’acòv non ha ancora trasceso la condizione assiomatica della sua umanità: il fatto che “l’uomo è nato per soffrire nei suoi doveri” e che la vita umana è una corsa di ostacoli costellata di aggressioni alla propria integrità morale. D-o non vede colpevolezza in Ya’acòv poiché, nonostante le angherie, è stato dotato della capacità di vincere ogni suo avversario.
Può cedere momentaneamente ma mai perdere l’intrinseca bontà e purezza che finiscono sempre col manifestarsi e avere il sopravvento. Egli è immacolato ma mai scevro dal dolore della guerra che lo mantiene fuori dal peccato. Per Ya’acòv la fiaccola della battaglia della vita è sempre accesa, indipendentemente dal numero di volte in cui egli vince. Israèl, ovvero “maestro divino”, è il nome attribuitogli dopo che ebbe “lottato con la forza divina e gli uomini e ebbe vinto”. Israèl rappresenta l’ebreo che ha schiacciato la sua umanità, represso la perfezione della sua anima al punto da essere immunizzato contro tutte le avversità e tutte le tentazioni. Egli ha vinto contro il decreto divino che stipula che ”l’uomo è nato per soffrire” e si è disegnato un’esistenza tranquilla in mezzo alle turbolenze della vita. Inoltre, Ya’acòv è il nome per definirci “servitori” del Sig-re e Israèl è il nome con il quale Egli si rivolge a noi in qualità di “Suoi figli”. Il servizio implica un certo sforzo mentre nella relazione tra padre e figlio, quand’anche esiga impegno, prevale soprattutto il piacere dacché il figlio è un’estensione del padre.
La prima parte della vita di Ya’acòv fu consumata dalla lotta contro il fratello Essàv, sin dal grembo materno passando dalla nascita, dal diritto di primogenitura, dalle benedizioni del padre fino, al culmine, al raffronto finale dei due fratelli. Nel frattempo egli faticò al lavoro per occuparsi del gregge dello zio Lavàn, “l’imbroglione” e non ebbe altra scelta che di aguzzare la sua astuzia per non farsi ingannare dallo zio. Il cambiamento di nome segnò il passaggio dallo status di “servo del Sig-re” a “figlio del Sig-re”, egli passò da un’esistenza definita da conflitti a una realizzazione tranquilla e rassicurante della sua relazione con Hashèm. Tuttavia, anche dopo Israèl, egli continuò ad essere chiamato Ya’acòv. Gli eventi della sua vita furono in seguito segnati sia da momenti di pace d’animo, nove anni dopo il ritorno in Terra Santa, sia da momenti dolorosi, quali i ventidue anni di separazione da suo figlio Yossèf. In qualità di padre del popolo ebraico, Ya’acòv rappresenta il modello dei due modi di essere ebreo: il cheto figlio di Hashèm, in pace con se stesso, con D-o e con gli uomini, la cui vita coerente è fonte di ispirazione per il suo ambiente; e il servitore di Hashèm, coi suoi conflitti interiori che si batte per la sua relazione con D-o e il suo posto nel mondo. L’essere Ya’acòv non è solo un tappa per raggiungere l’essere Israèl, è anche un fine in sé, un ruolo indispensabile nel disegno divino della vita su questa terra.
Basato sugli insegnamenti del Rabbi di Lubàvitch. Tradotto e adattato da Myriam Bentolila
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