“E Dinà, la figlia che Lea aveva dato a Giacobbe, uscì per vedere le fanciulle del paese. E Shchèm, figlio di Chamòr principe del paese, la vide e la rapì (Genesi 34:1-2)”.

Nel 34° capitolo della Genesi si parla del rapimento di Dinà, del complotto dei fratelli per neutralizzare il popolo di Shchèm, della liberazione di Dinà e della distruzione della città.

I nostri saggi sottolineano che il versetto indica Dinà quale figlia solo di Leà e non di Leà e Yaacòv (Giacobbe). Rashì spiega: poiché usciva, venne chiamata figlia di Leà in quanto anche a quest'ultima piaceva uscire, com’è scritto: “E Leà uscì per accoglierlo”.

La caratteristica di una donna ebrea è la sua discrezione, come viene definita dai Salmi: “La gloria della figlia di un re si trova nell’interiorità”. A prima vista, sembra che Rashì critichi il comportamento di madre e figlia. Tuttavia, riguardo ad un versetto di qualche capitolo addietro, che spiega che prima di incontrare il fratello Essàv (Esaù) “Giacobbe prese le sue due mogli, le due serve e i suoi undici figli e traversò il fiume Yabòk”, Rashì domanda: 'Dove è la figlia Dinà?' E risponde: 'Giacobbe la rinchiuse in un baule affinché il fratello, gran corteggiatore, non mettesse gli occhi su di lei'. Per questa ragione Yaacòv fu punito poiché, se non l'avesse nascosta, la figlia forse avrebbe potuto redimere lo zio. La punizione fu il rapimento della ragazza da parte di Shchèm. In altre parole, il fatto di averla nascosta provocò la sua disgrazia e non le uscite di Leà e Dinà.

L’incontro fra Dinà e il mondo esterno avrebbe potuto essere positivo ma Yaacòv non aveva intuito che la solida educazione impartita alla ragazza l’avrebbe protetta e le avrebbe anche permesso di avere un ascendente positivo su Esaù. Rashì spiega che Leà aveva gli occhi deboli dal pianto al solo pensiero che il padre Lavàn (Labano) l’avesse promessa in sposa all’empio Essàv. Le preghiere di Leà furono ascoltate e il destino cambiò a suo favore facendola sposare con Yaacòv.

Ora toccava a Dinà, sua erede spirituale, ad influenzare positivamente lo zio poiché ella era dotata della stessa indole estroversa della madre. La sua vita sociale non avrebbe intaccato la sua identità di figlia di Israele, anzi! Dinà era dotata di una chiara predisposizione ai rapporti umani mediante la quale sarebbe stata un esempio per le coetanee, senza correre il rischio di compromettersi. Ma il padre esitò a sfruttare i suoi potenziali, scatenando così il disastro. Pertanto, in questo contesto, la ragazza viene citata solo come figlia di Leà.

Esteriorizzare L'Interiorità

L’uomo e la donna sono stati creati con specificità diverse. L’uomo è un conquistatore con mansione di cambiare in mondo ostile che gli resiste e, a tal fine, è stato munito di una natura battagliera adeguata alla guerra che conduce nella vita, per liberare tutti gli elementi positivi incatenati nei luoghi più spiritualmente remoti del Creato.

L'atteggiamento riflessivo tipico della donna, invece, la colloca su un piano diametralmente opposto. Ella è la colonna vertebrale della famiglia, madre, nutrice, educatrice e protettrice della purezza nel mondo di Hashèm. Nondimeno, se è socievole e in grado di influenzare positivamente altre donne, ella può e deve varcare la soglia di casa, abbandonare momentaneamente la santità della sua dimora per raggiungere luoghi più estranei e pagani, senza adottare gli atteggiamenti combattivi dell’uomo.

L’approccio conflittuale non è l’unico modo per avvicinare il prossimo, esiste anche un iter femminile, più pacifico ed empatico per estrarre il bene dal male. Il contrasto è spesso necessario, ma può risultare a volte inefficace e persino nocivo. Le battaglie più difficili hanno bisogno del tocco femminile che solo una donna aperta al mondo esterno può dare.

Tratto da Likutè Sichòt