I nostri Maestri insegnano che prima di creare il mondo, D-o creò uno stato precedente di esistenza, il mondo del “Caos” (“Tòhu”), ma era un mondo di troppa luce e scarso di recipienti; come risultato, i recipienti scoppiarono e la luce fuggì. D-o allora creò il nostro mondo, detto anche mondo del “Tikkùn” (“Correzione”), costruito con ampi contenitori e scarsa luce, in maniera da poter operare e perdurare. “Luce” è il termine kabbalistico che indica l’emanazione di energia Divina; i “recipienti” sono le forze Divine che incanalano, definiscono e concentrano la “luce”. Un’anima, ad esempio, è una “luce”, mentre un corpo è un “recipiente”. Un mondo, sia esso fisico o spirituale, consiste di luci derivanti dal potere Divino di delimitare. D-o desiderava che il nostro mondo rettificato fosse costruito sulle rovine del “Tòhu”, in maniera che noi potessimo scavare oltre la sua superficie e portare alla luce le “scintille di santità” rimaste dal mondo primordiale, rivelarne il loro potenziale e alla fine integrare le due realtà, imprigionando la luce immensa del “Tòhu” negli ampi recipienti del “Tikkùn”.
I Gemelli Cosmici
I Kabbalisti considerano Giacobbe ed Esaù come l’incarnazione dei gemelli cosmici “Tòhu” e “Tikkùn”. Esaù è la rozza, indomita energia del “Tòhu”; è una forza distruttiva poiché manca della disciplina e del controllo necessari a incanalare l’energia in maniera utile, positiva e costruttiva. È però anche una forza molto potente, molto più potente delle energie costrette e definite che animano il mondo ordinato e sistemato di Giacobbe. La sfida consiste nel mettere insieme questi “gemelli cosmici” in maniera da sfruttare il meglio dei due mondi, ossia far sposare l’immensa energia del “Tòhu” con il controllo del “Tikkùn”. La battaglia per ottenere questa sinergia è la storia dei due gemelli della Torà, ed è l’essenza della storia dell’uomo in generale. Esaù e Giacobbe sono nati dallo stesso ventre (litigavano già prima ancora di nascere), e la loro vita è caratterizzata dallo sforzo di riportarli insieme. Il conflitto però è troppo profondo e ampio per essere risolto nell’arco di una vita, anche se lunga (Giacobbe visse 147 anni) e ricca di vicissitudini. Le forze del “Tòhu” sono troppo espansive, affamate di vita per sottomettersi al rigore del 2Tikkùn”, e i contenitori di quest’ultimo sono troppo concentrati e strutturati per incorporare le passioni del “Tòhu”. In realtà vengono fatti dei tentativi, ad esempio gli sforzi del padre Isacco volti a creare una comunanza tra i due figli trasferendo l’eredità spirituale di Abramo a Giacobbe ed assicurando le benedizioni materiali a Esaù. Interviene però la madre Rebecca: Esaù è ancora troppo rozzo, non sufficientemente formato e forgiato da potergli affidare questo ruolo. Se venissero dati nelle sue mani “la rugiada del cielo e il grasso della terra”, si verificherebbe un’altra esplosione. Se Esaù avesse potuto sposare la sua anima gemella predestinata Lea, come Giacobbe sposò Rachele, i fratelli (e a questo punto anche cognati) avrebbero condiviso la costruzione delle fondamenta di Israèl. Lea però non cessa di versar lacrime all’idea, e così Giacobbe finisce con l’avere due mogli (e prima ancora con l’ottenere entrambe le benedizioni di cui sopra) e con il dare alla nascita tutte le dodici tribù. Nel suo viaggio di ritorno a Charàn, Giacobbe sembra pronto al grande passo: invia degli angeli e numerosi doni a Esaù e promuove il ritrovo. La notte prima del fatidico incontro, però, egli si imbatte nello spirito di Esaù e, anziché abbracciarsi, uomo e angelo combattono tutta la notte. Ancora una volta, Giacobbe emerge vittorioso, ed estorce all’angelo del gemello la dichiarazione che entrambe le benedizioni e il nome “Israèl” appartengono di diritto esclusivamente a lui. Il mattino dopo, i due fratelli si incontrano in carne e ossa ma la loro riunione si rivela una delusione: entrambi sanno che il vero incontro si è già verificato, portando a un’altra battaglia con vittoria unilaterale anziché unione e integrazione. E Giacobbe nasconde la figlia Dina per impedire a Esaù di sposarla, perdendo l’occasione di farle prendere il posto della madre Lea (con il risultato che Giacobbe comunque perde la figlia, non per il fratello ma per un principe cananeo). I due gemelli si abbracciano e si baciano, ma solo superficialmente. Esaù propone un semi-sincero invito a una vita insieme, ma Giacobbe gentilmente declina. I due fratelli si incontreranno di nuovo solo una volta in vita: al funerale del padre Isacco; e poi, non più in vita in questo mondo, quando la testa (e solo la testa) di Esaù viene collocata a riposare per l’eternità presso la tomba di Isacco nella Grotta di Machpelà, nello stesso giorno in cui anche Giacobbe viene sepolto nello stesso luogo.
La Battaglia Finale
La ricerca dell’unità di “Tòhu” e “Tikkùn” prosegue oltre la loro vita e viene trasmessa ai popoli di Israele e Edòm. Gli “otto re che regnarono in Edòm prima che vi fossero re di Israele” sono le forze volatili del “Tòhu”, quando gli ebrei procedevano verso il Sinài, dove vennero loro dati i 613 precetti che fungono da recipienti per il “Tikkùn Olàm”, ossia la correzione e la civilizzazione del mondo. Il conflitto infiamma le battaglie tra Giuda e Roma, tra lo spirito e la materia, tra la legge e l’immoralità, e sarà risolto solo quando tutte le battaglie dell’umanità culmineranno nel giorno in cui i salvatori saliranno al Monte Siòn per giudicare il monte di Esaù.
Di Yanki Tauber, chabad.org
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