Il libro di Shemot si apre con la narrazione della schiavitù e delle pene sofferte dagli ebrei dopo la morte di Yosef e l’avvento di un nuovo re. Dal popolo oppresso nasce, però, Moshé che viene salvato dalle acque del Nilo sulle cui sponde era stato deposto dalla madre, dopo che Faraone aveva ordinato che tutti i neonati degli ebrei fossero gettati nel fiume.

Cresciuto a corte, non tardò però a entrare in contatto con il popolo ebraico e a prendere parte alle loro sventure, finché, per aver ucciso uno degli aguzzini che rendevano insopportabile la vita agli ebrei schiavi, fu costretto a fuggire.

Accolto nella casa di un sacerdote di Midian, ne sposò la figlia, Zippora, dalla quale ebbe un primo figlio, Ghereshom, e visse facendo il pastore del gregge del suocero. Guidando le pecore lungo le solitarie campagne, giunse un giorno presso il monte Chorev, dove ebbe la visione di un roveto che bruciava senza consumarsi, mentre una voce lo invitava a tornare in Egitto per liberare il suo popolo dalla schiavitù e ricondurlo nella Terra promessa ai Patriarchi. Egli tentò di non accollarsi tale compito, dicendosi inadeguato allo scopo, ma dovette accettare la missione e recarsi, con il fratello Aharon dinanzi a Faraone oppressore per chiedergli, nel nome di D-o, la liberazione del popolo schiavo. Il re, però, rese ancora più pesante il lavoro e più insopportabile la situazione degli ebrei sottomessi, tanto che essi protestarono e inveirono contro i liberatori che non erano riusciti nel loro compito.