Le Tavole della Legge
Le Tavole della Legge, Luchòt Haberit sono di pietra tagliata in forma cubica. Mosè le portò con sé dal monte Sinai il 6 sivan dell’anno 2448 secondo il calendario ebraico (1312 a.e.v.). Su di esse erano incisi con il fuoco i Dieci Comandamenti. Le Luchot avevano in sé alcuni miracoli. La scrittura risultava comprensibile da qualunque faccia dei cubi si leggesse: le parole, infatti, erano incise in modo tale da perforare le Tavole in tutto il loro spessore ed era proprio questo particolare che rendeva possibile la lettura delle frasi da ogni lato.
Mosè, inoltre poté trasportarle senza difficoltà, malgrado avessero un peso molto elevato.
Gli elementi centrali delle lettere quadrate (samech ס e mem finale ם) rimanevano sospesi al loro posto senza mai muoversi o cadere.
La Conca di Rame
D-o ordinò che si facesse un grande recipiente di rame – con il basamento nello stesso metallo – da porre tra il Mishkan e il Mizbeach. Lo si sarebbe dovuto riempire d’acqua ogni mattina affinché i sacerdoti potessero purificare le loro mani: lavandole ogni giorno prima di entrare nella tenda e iniziare il loro servizio divino. Tale lavaggio delle mani (netilat yadayim) era un rito di purificazione obbligatorio.
Olio per l’Unzione e l’Incenso
Dopo aver parlato del lavaggio delle mani – i particolari della costruzioni della conca di rame saranno dati in una parasha successiva – D-o dà a Mosè le indicazioni per preparare l’olio per la Sacra Unzione, la santificazione del Tabernacolo, degli arredi e degli oggetti sacri e quella di Aronne e dei suoi figli. L’olio era composto da profumi estratti da piante aromatiche scelte e da olio d’oliva: le quantità e le proporzioni furono scrupolosamente dettate dal Signore.
Ogni spezia doveva essere posta in acqua affinché quest’ultima ne assorbisse l’aroma. L’olio d’oliva era aggiunto all’acqua e la miscela veniva fatta bollire fino a che l’acqua non si consumasse del tutto lasciando solo spezie e olio.
La quantità di olio che Mosè preparò fu sufficiente – in modo miracoloso – per tutte le generazioni future. Era ancora usata ai tempi del secondo SantuariodiGerusalemme. L’ampolla che lo contiene fu nascosta e non se ne ha più notizia dai tempi della distruzione del Santuario, ma si tornerà ad utilizzarla nei tempi del Messia.
Ovviamente non si doveva ungere ogni cosa e ogni sacerdote, ma spruzzarli con alcune gocce di quell’olio aromatico, come simbolo di santificazione. Il Signore proibì la confezione e l’utilizzo di quell’olio speciale a scopi profani da parte di persone estranee al Santuario.
Mosè preparò anche gli incensi, i ketoret, utilizzando undici spezie secondo le indicazioni di D-o. L’incenso doveva ardere quotidianamente all’interno del Padiglione, davanti all’Arca. Solo una tra tutte le spezie produceva un aroma assai sgradevole il chelbenà, il galbano, ma il Signore lo incluse ugualmente nella preparazione dell’incenso da ardere alludendo al fatto che Israel, nei suoi digiuni e nelle sue preghiere, includa anche i trasgressori che si trovano sicuramente al suo interno.
I brani di Esodo 30, 34-36 e 30, 7-8, si recitano nelle preghiere quotidiane e i maestri insegnano che è bene seguire il conto delle undici spezie con le dita della mano destra. Lo Zohar attribuisce molta importanza a tale lettura e afferma che se noi ne conoscessimo veramente il valore per il Signore, prenderemmo ogni parola e ne faremmo una corona d’oro con cui ornarci, perciò lo si recita tre volte al giorno: all’inizio e al termine della preghiera del mattino e prima di quella pomeridiana.
Dopo la recitazione di questo brano la preghiera continua riportando un interessante brano tratto dal Talmud (Keritot 6a e Yerushalmi Yomà 4, 5) in cui i Maestri elencano gli ingredienti necessari alla preparazione dei profumi da ardere e discutono sul perché vengano inseriti e non altri.
I nostri maestri insegnano come era composto l’incenso: vi erano 368 manìm, 365 corrispondenti al numero dei giorni dell’anno, un mané al giorno, mezzo al mattino e mezzo alla sera, e inoltre tre manìm che il granSacerdote prelevava a manciate nel giorno di Kippur, dopo averli ripassati nel mortaio alla vigilia di Kippur onde eseguire il precetto di usare incenso finissimo. I profumi erano undici: 1) balsamo, 2) garofano, 3) galbano, 4) olibano, ognuno del peso di settanta mané; 5) mirra, 6) cassia, 7) spinardo, 8) zafferano, ognuno del peso di sedici mané; 9) costus del peso di dodici kabìn, 10) corteccia aromatica del peso di tre kabìn; 11) cannella del peso di nove kabìn. [In aggiunta] veccia saponaria per nove kabìn; vino di Cipro tre seà e tre kabìn. Se non si trova vino di Cipro, si porti del vino bianco vecchio, un quarto di sale di Sodoma e una certa quantità di sostanze per produrre fumo.
Rabbi Natan il babilonese dice: «Anche un po’ di ambra dello Yarden. Se però si introduce nell’incenso una sostanza dolce non è più utilizzabile e se si fa mancare anche uno solo dei suoi ingredienti si è passibili di morte».
Rabban Shim‘on figlio di Gamliel dice: «Il balsamo non si fa se non con la resina che stilla dagli alberi di ketaf; e perché si introduce la veccia saponaria? Per migliorare il garofano, affinché divenga più gradevole. E perché si mette il vino di Cipro? Per stemperarvi il garofano affinché divenga più forte. Ma non è meglio a tale scopo usare l’urina? Non la si introduce nel Santuario per rispetto».
Secondo un insegnamento di rabbi Natan è bene dire, mentre si tritano gli ingredienti: «Trita, trita ben bene», perché accompagnarsi con la voce è utile ai profumi. Se l’incenso viene prodotto con dosi dimezzate è considerato valido, purché non si riducano le dosi a un terzo o a un quarto; non abbiamo mai sentito (una tradizione che possa confermarne la validità).
Spiega rabbi Yehuda: «Questa è la regola: se si tritano gli ingredienti secondo le proporzioni prescritte, l’incenso è valido anche quando è composto da metà delle sue dosi. Se si fa mancare uno solo dei suoi ingredienti si è passibili di morte».
Insegna Bar Kappara: «Una volta ogni 60 o 70 anni, si preparava mezza dose d’incenso con gli avanzi – insegna anche Bar Kappara – se vi si metteva anche una piccola quantità di miele, non se ne poteva sopportare l’odore. E allora perché non vi si mescola del miele? Perché la Torà dice: non offrite nessuna sostanza lievitata né del miele da ardere come sacrificio a D-o».
Signore, D-o delle moltitudini, è con noi. È rifugio per noi il D-o di Giacobbe, per sempre. Signore, D-o delle moltitudini, felice è l’uomo che confida in Te. Signore salvaci; il Re ci esaudisca nel giorno in cui lo invochiamo. Sia gradita a D-o l’offerta di Giuda e di Gerusalemme come nei tempi remoti e negli anni antichi.
(Tratto da Siddur Siyach Yitzchak ed. Mamash)
Parliamone