E dimenticarono D-o. Moshè era ancora in cima alla montagna, ma a causa di un errore nel calcolo del tempo, il popolo pensava che doveva essere di ritorno la sera prima. Temette che non tornasse e non mantenesse la sua promessa, quindi pretese da Aharòn di costruire un nuovo dio materiale.

Aharòn era sconvolto: come potevano i Bené Israèl dopo soli quaranta giorni aver già dimenticato il primo comandamento, ovvero «di non avere altri dei oltre a Me»? La causa di questo comportamento va attribuita allʼimmensa ricchezza che era stata loro elargita allʼuscita dallʼEgitto.

UNA PROVA D’UMILTÀ.

Non di rado alcuni ricchi ritengono che ogni loro minimo capriccio va esaudito e subito. Ora volevano un dio e lʼavrebbero ottenuto con il denaro. Aharòn, dal canto suo, tentò di curare il male alla radice e interrogò: «Chi possiede oro?»In tal modo intendeva dimostrare che tutto lʼoro proviene da Hashèm e quando lʼabbiamo meritato bisogna sentirsi umili davanti al Sig-re. Sperava di spronare i Benè Israèl a riflettere su questo principio. Tuttavia essi credettero che fosse solo una questione di soldi: «Vuoi dellʼoro? - ribatterono - nessun problema. Ne abbiamo in abbondanza». E si sbrigarono a portarne in enormi quantità. Il povero profeta capì che era troppo tardi e che era stato frainteso, quindi, buttò lʼoro nel fuoco: era un gesto estremo con il quale voleva manifestare che le ricchezze vengono dal cielo e che devono nutrire le fiamme del nostro amore per il Creatore.

Ma era troppo tardi e la disposizione mentale collettiva era talmente corrosiva che non poteva essere cambiata in una notte. E infatti, Aharòn attestò in seguito : «Ho buttato lʼoro nel fuoco e ne è uscito questo vitello». Lʼimmagine dellʼoro che luccicava nel fuoco risvegliò nel popolo la passione per i soldi. Con questi si credeva infallibile e così adorò ciò che il fuoco produsse.

Moshè, appena sceso dal monte colse subito il problema nonché la sua origine. Dichiarò al suo discepolo Yehoshua (Giosué) che lʼaspettava ai piedi della montagna: «Non è il suono di una vittoria, non è il suono di una sconfitta, è il suono di una bestemmia! Io lo percepisco!». Perche aggiunse queste ultime parole superflue? Secondo gli esegeti, Moshè affermava che la radice della bestemmia era lʼego ipertrofico del popolo. Era la prepotenza dellʼio che notò. «Vedo che è lʼio che stimola la bestemmia e lʼidolatria».

IL DILEMMA.

Questo dilemma ha perseguitato lʼumanità per tutte le generazioni: raramente i miliardari si ritengono paragonabili ai comuni mortali. Si reputano come unʼélite. Tuttavia, il più grande complimento che si possa fare a questo tipo di persone e che siano riuscite ad evitare la trappola della superbia. Quando gli agiati vivono in mezzo agli umani comuni godono della stima di tutti. Quando D-o acconsentì a concedere a Mosè le seconde Tavole della Legge, gli ingiunse si estrarle da un filone di zaffiro, creato allʼuopo sotto la sua tenda e aggiunse: «Scolpiscile lechà - per te». Ma le tavole appartenevano a tutto il popolo, non solo a Mosè!

Il verbo scolpire in ebraico si dice «psol» che significa anche «inferiore». I saggi spiegano che Moshè si arricchì delle schegge che cadevano durante la scultura. D-o non gli disse che le Tavole gli appartenevano o, bensì che «psol lechà», ciò che è di qualità inferiore, è destinato a te. Questo senso metaforico del comandamento rivela che lʼebreo deve sempre serbare e mantenere un sentimento di inferiorità mentre contempla il Sig-re. Innanzi alle Tavole di D-o, il sentimento di umiltà si impone poiché è lʼunico atteggiamento adeguato in presenza dellʼOnnipotente. Anche benedetti con tanta prosperità, come lo era Moshè, dobbiamo ricordarci, come lui, che sia la ricchezza sia la persona che la possiede, sono sempre inferiori alla sua fonte. La fonte è D-o e a Lui dobbiamo fedeltà ed obbedienza.

Il Baàl Shèm Tov spiega questo concetto con una parabola : «Un giorno il re propose di esaudire i desideri di tutti i suoi sudditi. Fecero la fila e ognuno, a turno, presentava le sue istanze. Uno dei sudditi espresse una strana supplica: «Vorrei unʼudienza privata quotidiana con il re». Se i nostri desideri sono limitati, inibiti e contenuti, lo saranno anche le benedizioni, in quanto in questo caso la ricchezza può condurre allʼarroganza e alla presunzione. Ma quando ci raccomandiamo in modo assoluto alla misericordia di Sua Maestà, le benedizioni sono infinite e, ciò che conta di più, è che rimaniamo sempre modesti e pieni di riconoscenza.

Tratto da Likutè Sichòt