“Sei giorni, il lavoro sarà eseguito. Ma il settimo giorno è un Shabbat di riposo solenne, un appello di santità, non lavorerai : è un Shabbat per D-o in tutte le sue dimore” (23;3).
La kabbalà spiega che il mondo è stato creato tramite le dieci sefiròt – ovvero i dieci attributi divini. Trattasi di: chochmà, binà, da’at, chessed, ghevurà, tifèret, netzàch, hod, yessod, malchùt.
Ognuna con la sua caratteristica influisce in modo personale sul creato. Sei di esse rivestono carattere maschile, le quali non potrebbero esistere senza il fulcro sul quale poggia tutta la struttura: la Sefirà femminile Malhùt - regalità. Lo Shabbat che in ebraico, non a caso, è un nome femminile, è l’elemento centrale verso il quale convergono i sei giorni. Questi ultimi rivestono carattere tipicamente maschile. Durante la settimana l’essere umano è un “maschio”, un combattente che tenta instancabilmente di procurarsi i mezzi volti a sopperire ai bisogni della sua famiglia. Poi giunge lo Shabbat, il giorno che rinfresca inserendoci in una dimensione di pace e serenità. Dopo sei giorni di ardue battaglie ci fermiamo per assaporare una rigenerante tregua che ci permette di trasformarci da guerrieri a “ricettacoli”. Il ricettacolo nell’ebraismo rappresenta la femminilità per antonomasia in quanto fisicamente e spiritualmente la donna riceve e poi procrea.
Infatti, nella Torà, come già menzionato, lo Shabbat viene definito sempre al femminile, Shabbat Hamalkà - la regina, nonchè Kalà - sposa del popolo. Le donne incarnano la Sefirà unificatrice e reggente, Malhùt, pur essendo complementari all'uomo, sono più complete di lui, più vicine alla Divinità, alla regalità. Per ottenere profusione di benedizioni, è necessario fermarsi per poter apprezzare e assorbire i beni “conquistati”.
Hashem ha creato il maschio battagliero, sempre agitato e in perenne ricerca di ostacoli da valicare, allorché la donna è stata dotata di intuito, di ragionamento più ponderato e di uno spiccato senso del limite. D-o Onnipotente poteva continuare l’opera creatrice ma al sesto giorno si riposò, non per riprendere fiato e ovviamente, non per riposarsi, bensì per dare all’uomo il senso della misura e del limite che di natura non possiede. Pertanto, lo Shabbat è al contempo fonte di benedizione per la settimana che è passata e anche per quella che segue. Esso ci permette sia di usufruire e di assaporare i frutti del nostro lavoro sia di riposarci e rinvigorirci per affrontare il prossimo ciclo settimanale.
“Un uomo può ricevere benedizioni solo per merito di sua moglie e la Gioia, il Bene e la Torà (che è la sua protezione) provengono solo dalla donna”. L’uomo, che simbolizza “la settimana” è stato incaricato della chiusura dello Shabbàt, accogliendo i giorni profani tramite il rito della Havdalà - separazione tra il sacro e il profano. Ma l’accensione delle candele è stata affidata alla donna: solo lei, con il suo senso dell’equilibrio e della quiete è in grado di far entrare il santo giorno irradiando la famiglia e la casa con i lumi santificatori.
Tratto da Likutè Sichòt
Parliamone