Nella parashà di Vayigash si narra la fase culminante della storia di Yosef e dei suoi fratelli.

Yosef era stato strappato dalla casa paterna in Eretz Israel e venduto come schiavo nel corrotto paese d’Egitto.

La moglie del suo primo padrone, Potifar, tenta di sedurlo, ma egli, sorretto dall’elevato codice morale che gli era stato inculcato nella casa paterna, supera ogni prova e vince ogni tentazione. La moglie di Potifar, infuriata e umiliata da questo comportamento, persuade il marito a rinchiudere Yosef in carcere. Dopo aver languito per anni in prigione, Yosef, che aveva ricevuto dal Signore il dono di interpretare i sogni, riesce ad attirare su di sé l’attenzione del faraone.

Finalmente, dopo lunghi anni di schiavitù, Yosef è liberato; elevato alla carica di viceré e governatore dell’Egitto, egli non solo salva dalla fame i suoi fratelli, ma tutto l’Egitto e alcuni paesi confinanti.

Quando, infine, fa conoscere la sua identità ai fratelli, egli rivela loro la causa recondita del dramma della sua vita. Li esorta anche a non addolorarsi a causa dei patimenti che egli stesso ha dovuto subire: “perché D-o mi ha mandato avanti a voi perché rimaneste in vita” (Bereshit 45, 5).

Queste parole racchiudono un messaggio significativo per tutta l’umanità. Infatti, l’intero episodio di Yosef simboleggia il mistero che avvolge la vita dell’uomo sulla terra, ma fornisce anche la chiave per comprenderlo.

L’anima dell’uomo, che è l’essenza ed il nucleo del suo essere, è il “Yosef” che è dentro ogni persona. Inoltre, la neshamà, l’anima, che è parte del Signore, è stata strappata dalla sua dimora celeste, portata via dalla casa del Padre, e mandata nel mondo materiale, nel suo “Egitto”, dove è imprigionata nel corpo fisico.

Lo scopo di questo esilio non è quello di sottoporre l’anima a sofferenze crudeli e gratuite.

La neshamà è mandata sulla terra per essere un “Yosef”, che sia in schiavitù, oppure in una posizione migliore dove è ricoperto di onori; egli rimane fedele al codice morale che gli è stato inculcato nella casa del padre, in Terra Santa. Non deve mai soccombere alle tentazioni del mondo terreno, né prostrarsi nella schiavitù, ma ricordare sempre la sua missione: diventare il “governatore dell’Egitto” e “mantenere in vita”, seguendo la Torà, lui stesso e quelli che lo avvicinano.

Mai dimentico della sua origine e fedele al codice morale della “casa di suo padre”, l’ebreo può sperare nel giorno in cui le catene della schiavitù saranno completamente infrante; l’anima – Yosef – diverrà “governatore dell’Egitto” (governerà sul corpo materiale) e i disegni Divini verranno realizzati.

(Saggio basato su una lettera del Rebbe di Lubavitch del 5 tevet 5712; pubblicato in Il Pensiero della Settimana a cura di rav Shmuel Rodal).