Yossèf rivelò la sua identità ai suoi fratelli. Chiese loro di tornare a Canaàn al fine di annunciare la buona notizia: “Yossèf è ancora vivo” al padre Yaacòv-Giacobbe e di riportare quest’ultimo in Egitto con tutta la famiglia e la tribù. La Torà riferisce che Yossèf incaricò i fratelli di trasportare cibo e regali da offrire al padre: “E a suo padre inviò: dieci asini carichi del meglio che c’era in Egitto e dieci asine con orzo, pane e altre provviste, per suo padre, per il viaggio”.
Rashi fornisce due interpretazioni sul carattere di questi “cibi raffinati”. Una è che inviò “vino d’annata che fa del bene alle persone anziane”; l’altra è che "mandò dei piselli secchi". Nell’esegesi dei saggi non esiste ombra di un dettaglio nelle Scitture che sia banale o insignificante. Anche in questo caso, le due spiegazioni proposte da Rashi rivelano nuovi approcci sull’aneddoto riportato dalla Torà.
I piselli secchi: Yossèf sapeva che il rientro dei fratelli a Canaàn recanti la notizia del suo stato in vita avrebbe causato al padre non solo felicità ma anche dolore in quanto Yaacòv avrebbe scoperto che i suoi propri figli l’avevano venduto come schiavo. E anche se non avesse capito questo fatto, egli avrebbe comunque sentito grande pena per la separazione dal figlio prediletto. Yossèf tentò di alleviargli la sofferenza inviandogli uno dei cibi più pregiati d’Egitto e indicargli che ci sono cose a questo mondo che raggiungono livelli superiori di utilità e di valore quando sono secchi, rotti e separati. Egli suggerì che solo la separazione dalla famiglia e la sua vendita poterono fargli raggiungere la gloria e la grandezza, sostentare la famiglia e salvarla dalla carestia.
Il vino d’annata. Poco prima che Yossèf rivelasse la sua identità ai fratelli, li invitò ad un banchetto nel suo palazzo e, per quell’occasione, la Torà dice: ”Bevettero del vino.... insieme a lui”. Rashi commenta: “Dal giorno in cui lo vendettero, non bevettero più vino e lui (Yossèf) neppure, ma quel giorno bevettero”. Yossèf aveva capito che se lui e i fratelli si erano astenuti da libagioni in segno di dolore, Yaacòv, invece, era costantemente in lutto per il figlio che credeva morto e si era astenuto dal bere durante tutti quei 22 anni. In base a questo, si può facilmente capire il piacere che Yaacòv provò a vedersi offrire del vino da niente di meno che Yossèf stesso. Inoltre, inviando vino invecchiato, Yossèf faceva sottintendere al padre che per tutto quel periodo trascorso in Egitto, egli non aveva perduto la fiducia che Hashèm li avrebbe fatti ricongiungere. Sebbene non ne avesse bevuto, egli aveva vino in riserva, per una durata tanto lunga che divenne millesimato e in modo da potersene servire per la felice riunione.
Mitzràyim, che in ebraico significa Egitto, ha le stesse lettere di Metzarìm che vuol dire «limiti». In un senso più ampio, Mitzràyim connota ogni tipo di esperienza fatta di restrizioni. Persino quando i limiti imposti dal nostro ambiente e dalle nostre preoccupazioni materiali intralciano il nostro servizio di Hashèm, non dobbiamo mai disperare, alla stregua di Yossèf che non si diede mai per vinto in Egitto. Occorre, in effetti, essere forti e avere cieca fiducia nel fatto che il Sig-re ci elargirà successo nelle nostre faccende materiali in modo che non disturbino lo studio della Torà e l’osservanza delle Mitzvòt.
di Yitzchàk Meìr Kagan
Parliamone