"Non temere di scendere in Egitto" (Bereshìt 46, 3)

Quando Ya'akòv, lasciata la casa natìa con la sua famiglia alla volta dell'Egitto, giunse a Beèr Sheva, H-shèm gli apparve e gli disse: "Non temere di scendere in Egitto, poiché là ti renderò un grande popolo" (Bereshìt 46, 3). Sorge la domanda: perché H-shèm aspettò che Ya'akòv avesse raggiunto Beèr Sheva per infondergli coraggio? Il fatto stesso che avesse intrapreso il viaggio poteva infatti già essere prova che non temesse di recarsi in Egitto.

Spiega Rashì che in realtà Ya'akòv era addolorato dal fatto di dover abbandonare Eretz Israèl. Non si trattava quindi di timore, bensì di dolore, e le parole di H-shèm avevano lo scopo di rinvigorirlo in questo senso.

Il dolore di Ya'akòv

Ya'akòv non temeva la discesa stessa in Egitto. Sapeva che Yossèf gli aveva destinato una regione separata dal resto del paese, e pertanto non temeva l'influenza negativa degli egizi sui suoi figli. Per questo motivo intraprese il viaggio con molta fede e fiducia in H-shèm. Giunto a Beèr Sheva, al confine dell'amata terra, provò tuttavia una pena profonda.

Ya'akòv sapeva che cosa significasse lasciare Eretz Israèl, avendo egli già trascorso vent'anni a Charàn. Tuttavia, proprio ora in cui i suoi discendenti cominciavano a dar forma a un popolo vero e proprio, egli sentiva che l'unico luogo in cui esso avrebbe potuto svilupparsi sarebbe stato Eretz Israèl. Proprio ora, al confine, provava dolore per il fatto di non poter gettare le basi del suo popolo nella terra promessa.

Grazie alla discesa

Proprio qui giunse la promessa divina: "Non temere di scendere in Egitto, poiché là ti renderò un grande popolo". H-shèm gli promise che proprio in Egitto la sua prole sarebbe divenuta un grande popolo; proprio grazie alla discesa in Egitto il popolo ebraico si sarebbe sviluppato, ancor più di quanto sarebbe stato possibile in Eretz Israèl.

H-shèm tuttavia non disse a Ya'akòv di non provare pena; Egli gli rimosse il timore, ma non il dolore. Perché il dolore per l'esilio esiste e deve rimanere, in quanto da un lato ricorda sempre all'ebreo qual è la sua vera casa e dall'altro gli infonde la forza di superare le difficoltà che l'esilio comporta.

Esigere la Redenzione

Il concetto sopra esposto è portatore di un insegnamento valido per tutti gli ebrei, in ogni epoca dell'esilio.

Da un lato, non bisogna temere l'esilio: ponendoci in questa situazione, H-shèm ci dà anche le forze necessarie per affrontarne tutte le difficoltà e gli ostacoli ed è proprio superandoli che il popolo ebraico può raggiungere la perfezione a cui ambisce.

Ciò non ci priva tuttavia del dolore che proviamo per il fatto di trovarci in esilio. "Nostro padre ci ha cacciato via dal suo tavolo" (Talmud Berachòt 3a) e sarebbe da stolti non addolorarsene. È nostro dovere risvegliare continuamente l'anelo alla Redenzione finale e non desistere, chiedendo ad H-shèm, continuamente, di liberarci dalle catene dell'esilio e di condurci, senza più dolore alcuno, in Eretz Israèl.

Likkuté Sikhòt Vol. XXX, da Shulchàn Shabbàt

Di Avigail Hadad Dadon per Latte e Miele