Fin dalla sua nascita, il nome di Moshè appare in ogni parashà della Torà (eccetto l’ultimo libro, Deuteronomio, nel quale Mosè parla in prima persona). Una eccezione è la parashà odierna, quella di Tetzavè, nella quale non troviamo il suo nome.

Rabbì Yaakov ben Asher, noto come il Ba’al HaTurìm, non trascura questa perplessità nel suo commento sulla Torà e spiega che tale mancanza risulta da una richiesta fatta da Moshè stesso.

Quando il popolo d’Israele peccò con il vitello d’oro, il Sign-re volle punire il popolo nel modo più estremo, distruggendolo e creandone uno nuovo dalla progenia di Moshè.

Per Moshè questo era impensabile. “Se non li perdoni, disse, cancellami dal Tuo libro!” (Esodo 32, 32).

Il Ba’al HaTurìm ci ricorda l’insegnamento del Talmùd (Makòt 11a) secondo il quale una parola di un giusto, anche se espressa sotto condizione, viene comunque mantenuta. Nonostante il fatto che la condizione (“se non li perdoni…”) non fu realizzata e D-o perdonò il popolo, le parole del giusto Moshè si sono comunque realizzate, seppure in minima misura, ed il suo nome è stato cancellato da una Parashà.

Un’altra spiegazione è offerta da Rabbì Nachùm Twersky di Cernobil (nel suo Me’or Enayim): La mancanza del nome di Moshè allude alla sua scomparsa che avvenne nel settimo giorno del mese di Adàr che cade sempre in prossimità della Parashà di Tetzavè.

Il fatto che il nome di Moshè manca nella parashà non rappresenta una debolezza ma una forza. La parashà apre dicendo “e tu comanderai il popolo d’Israele…” Chiaramente, questo “tu” si riferisce a Moshè stesso e così la parashà continua ad elencare le mitzvòt svolte da Moshè senza chiamarlo per nome.

Il nome rappresenta un’aspetto esteriore della persona essendo uno strumento per facilitare i rapporti con gli altri. Proprio perché Moshè era disposto a perdere tutto per il bene di Israele, viene messo in evidenza non con il suo nome, ma con la sua presenza e quindi con la sua essenza.

Questo è evidente dalle parole “e tu” che aprono la nostra Parashà. Si parla non delle sue manifestazioni esterne, ma del “tu” più profondo che trascende il solo nome.