“Avete visto quello che ho fatto all’Egitto; e vi ho trasportato sulle ali di un’aquila e vi ho portato a Me” (Esodo 19:4). Perché D-o sceglie proprio un’aquila per esemplificare il Suo amore e la Sua cura verso di noi? L’interpretazione forse più nota è quella di Rashì: “Tutti gli altri uccelli trasportano i loro piccoli con le loro zampe, per timore che un predatore li attacchi da dietro e da sopra. L’aquila invece non teme nessun altro uccello, ha paura solo dell’uomo, e per questa ragione trasporta i suoi piccoli sulle sue ali: se è attaccata dalle frecce dell’uomo dal basso, sarà lei a restare ferita e non i suoi aquilotti. Quando gli egizi attaccarono gli ebrei al Mar Rosso, D-o mandò degli angeli a posizionarsi tra il campo di Israèl e quello egizio, e le nuvole Divine assorbirono le frecce”. Il Chiddushè Harìm (primo Rebbe di Gur) spiega questa idea in senso omiletico: quando le acque del mare si stavano per aprire, gli angeli si lamentarono con D-o, osservando che anche gli ebrei erano idolatri come gli egizi, quindi perché salvarli? D-o allora descrisse la relazione speciale che ha con i discendenti di Avrahàm. Un’altra interpretazione, quella del Chatàm Sofèr, spiega che l’aquila possiede tutti e quattro i requisiti degli animali non kashèr, e D-o ha scelto proprio l’aquila per esprimere il Suo amore condizionato per tutti i figli d’Israele, anche se sono immersi nell’impurità, per riportarli a Sé.
La Tempistica
Un commentatore contemporaneo, Rabbi Mattis Blum, cita un passaggio talmudico che descrive la crudeltà della capra di montagna: quando essa si prepara a partorire, sale fino alla cima di un monte affinché i suoi neonati cadano e muoiano. D-o manda un’aquila che raccoglie il cucciolo sulle sue ali e lo riporta alla madre. “Se sfasassi i tempi”, dice D-o, “il capretto morirebbe” (Bavà Batrà 15 a-b). L’Arizal osserva che se D-o avesse aspettato un secondo di più a liberare gli ebrei dall’Egitto, essi sarebbero scesi al cinquantesimo livello di impurità, avrebbero passato il punto di non-ritorno e non avrebbero potuto essere redenti. Se fossero stati liberati un secondo prima, D-o non avrebbe mantenuto la Sua parola sui 400 anni di esilio poiché non sarebbero stati ancora completamente trascorsi. D-o quindi avrebbe calcolato i tempi in maniera perfetta, esattamente come nel caso dell’aquila che salva il capretto; ecco perché, secondo Rabbi Blum, D-o dice che ci ha tratti in salvo sulle ali di un’aquila.
Il Sinài
Secondo Nachmanide, citando Onkelos, l’espressione “e vi porterò a Me” si riferisce al Sinài. La rivelazione al Sinài rappresenta la nascita del rapporto legale e rituale tra D-o e il popolo ebraico. D-o ci dice che non dobbiamo mai dimenticarci che Lui, verso cui siamo responsabili in quanto ebrei, è lo Stesso che ci ha trasportati sulle ali dell’aquila: il D-o dell’amore e il D-o della giustizia sono lo stesso D-o, e ogni singolo precetto scaturisce dalla stessa compassione che D-o esercita quando ci protegge. I Maestri descrivono l’esperienza al Sinài come il matrimonio tra D-o e il popolo ebraico, e l’idea talmudica che D-o ha sollevato la montagna sulla testa del popolo (Shabbàt 89a) rappresenta la chuppà sotto la quale si sono celebrate le nozze. A questo punto della lettura delle parashòt, quando ci accingiamo ad affrontare la parte normativa della Torà, dobbiamo tenere a mente che queste leggi non sono staccate dall’immagine dell’aquila; la legge civile scaturisce dall’etica Divina, e instaura un legame con il Sign-re basato sul pre-esistente rapporto amorevole. Secondo molti commentatori questa è la ragione per cui D-o comincia il Decalogo descrivendoSi come Colui che ci ha tratti fuori dall’Egitto: ci ricorda dell’aquila che ci raccoglie al momento giusto per portarci in salvo, che Egli ci vuole bene senza riserve e che è pronto a soffrire in prima persona per risparmiare ferite dolorose a noi.
Di Elly Krimsky, chabad.org
Parliamone