Ya’acòv partì da Beer Sheva’ (Bereshit 28, 10). La Scrittura si sarebbe potuta accontentare di dire: «Ya’acòv andò verso Charan». Per quale motivo viene dunque anche menzionata la sua partenza da Beer Sheva’? Per dirci che la partenza di un giusto dalla sua città produce una grande impressione. Finché, infatti egli rimane nella sua città è lui che costituisce la sua bellezza, il suo splendore e la sua gloria, ma quando egli se ne va, l’abbandonano anche la bellezza, lo splendore e la gloria…
Si imbatté nel luogo (Bereshit 28, 11). La Scrittura non riferisce di quale luogo si tratti. Tuttavia essendo scritto nel luogo significa che esso è già stato menzionato altrove. Si tratta del monte Moria, di cui è scritto in precedenza: e vide il luogo da lontano (Bereshit 22, 4).
Perché il sole era tramontato (Bereshit 28, 11). Dovrebbe essere scritto: «Il sole tramontò ed egli passò là la notte». Le parole: Passò là la notte perché il sole era tramontato indicano che il sole era scomparso improvvisamente prima della sua ora abituale, affinché Ya’acòv fosse obbligato a trascorrere là la notte.
Salivano e scendevano (Genesi 28, 12). Prima salivano e poi scendevano. Gli angeli che avevano accompagnato Giacobbe in terra di Israele non potevano uscire al di fuori di essa; essi risalirono, dunque, al cielo, mentre gli angeli che compivano il loro servizio al di fuori della terra di Israele [gli angeli della diaspora] discesero per accompagnarlo.
Questa non può essere che la casa di D-o (Bereshit 28, 17). Rabbi El’azar disse a nome di rabbi Yossé ben Zimra: «La scala era posta a Beer Sheva’ e il punto di mezzo della sua inclinazione sovrastava l’area del Santuario (Bereshit Raba 69, 7)». Beer Sheva’ si trova infatti nel sud di Yehudà [del territorio assegnato alla tribù di Yehudà], mentre Gerusalemme è nel nord, sul confine tra Yehudà e Beniamino. Betel, invece, si trova nel nord del territorio di Beniamino, sul confine del territorio di Beniamino e di quello dei figli di Yosef. Di conseguenza una scala, che poggia a Beer Sheva’ e ha la sommità a Betel, ha il punto di mezzo della sua inclinazione proprio su Gerusalemme. Tutto ciò conferma quanto hanno affermato i nostri rabbini: «Disse il Santo Benedetto Egli sia: “Questo è giunto al luogo dove Io dimoro e se ne andrà senza passarvi la notte?”» (Talmud Chullin 9b). Essi inoltre hanno affermato: «Ya’acòv chiamò Gerusalemme Betel» (Talmud Pessachim 88a). [Poiché il luogo in cui Ya’acòv ebbe la visione è chiamato la casa di D-o, e tale è il senso della parola Betel, Rashi, in accordo con la tradizione, la identifica con il monte Moria – ovvero il monte del Santuario (Dimora) del Signore – che sorgeva a Gerusalemme.]
Betel, però, era Luz (cf Bereshit 28, 19) e non Gerusalemme. Da dove dunque hanno dedotto questa affermazione? Io ritengo che il monte Moria fu rimosso e fu posto a Luz. In questo consiste l’accorciamento della terra di cui si parla nel trattato Chullin (91b). Fu il Santuario stesso a venire incontro a Ya’acòv fino a Betel. Per questo sta scritto: Si imbatté nel luogo.
Ci si può domandare: perché D-o non fece fermare Ya’acòv quando egli passò vicino al luogo del Santuario? Ma se non venne a lui in animo di pregare nel luogo dove avevano pregato i suoi padri, perché mai D-o del Cielo avrebbe dovuto farlo fermare là? Egli giunse in effetti vicino a Charan […] ciò e provato dal testo, che dice: Andò a Charan… (cf 28, 10). Una volta giunto a Charan Ya’acòv si disse: «Come è possibile che io sia passato vicino al luogo dove hanno pregato i miei padri senza essermi a mia volta fermato a pregare?».
Decise allora di tornare indietro ed era già ritornato a Betel quando al terra si accorciò per lui.
Questa è la porta del Cielo (Bereshit 28, 17). È il luogo della preghiera, da cui la preghiera sale al Cielo. Il midrash, come è noto, afferma che il Santuario celeste corrisponde al Santuario terrestre (Bereshit Raba 69, 7).
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