La parashà della settimana racconta di Ya’acòv che lasciò la pace, la tranquillità e la sicurezza di Beer Sheva’ – dove aveva vissuto dedicandosi allo studio della Torà e alla preghiera – per recarsi a Charan dallo zio Lavan.
Lungo il cammino Ya’acòv si fermò a riposare per la notte e, per proteggersi dalle bestie feroci, dispose alcune pietre attorno al suo capo.
Si presenta subito una domanda: se Ya’acòv aveva paura di essere assalito dalla bestie feroci, perché non circondò l’intero suo corpo con il riparo della pietre?
Il significato dell’atto di Ya’acòv di proteggere la sua testa, può risultare dall’interpretazione chassidica del versetto dei Salmi: "Se tu vivrai della fatica delle tue mani, felicità a te e bene a te" (Tehillim 128, 2).
In questo versetto l’accento viene posto sulla fatica delle tue mani.
Per provvedere al proprio sostentamento il lavoro – di qualsiasi genere si tratti – può essere svolto in due modi:
ciò che l’uomo fa coscientemente con le sue mani, ma non assorbe tutte le sue facoltà. La mente rimane libera, ed anche durante le ore dell’attività quotidiana spesso i suoi pensieri si concentrano su quelle cose che sono più vicine al suo spirito.
Alla seconda categoria appartiene il lavoro di testa, in cui la mente è del tutto assorbita dalla faccende pratiche. L’uomo allora non ha tempo per la famiglia, per gli amici e neppure per se stesso. Tutto il suo essere è completamente preso dalle faccende pratiche. Ya’acòv era conscio di dover lasciare dietro di sé l’ambiente della yeshivà di Beer Sheva’ – che lo metteva in grado di trascorrere una vita dedita alla spiritualità e alla devozione, allo studio della Torà e alla preghiera – e di dover affrontare un genere di esistenza diametralmente opposto. Doveva diventare pastore del gregge di Lavan e non sarebbe stato libero neppure per un momento, né di giorno né di notte, come ebbe a dire più tardi: “…di giorno mi consumava il gran caldo, il gelo di notte e il sonno se ne andava dai miei occhi” (Bereshìt 31, 40).
Perciò Ya’acòv cercò di proteggersi il capo, ossia di non farsi assorbire completamente dal lavoro, ma di tenere libera la sua mente in modo da potersi occupare di cose elevate, come lo studio della Torà e la preghiera che tanto gli stavano a cuore.
Il rabbino Shmuel di Lubavitch, di santa memoria, raccomandava ai suoi seguaci di rivolgere i loro pensieri alla Torà quando camminano per la strada. Stupito, un uomo d’affari manifestò al Rebbe il dubbio che una cosa tanto difficile superasse le possibilità umane.
Il Rebbe rispose: «Se siete capaci di pensare agli affari durante lo Shmoné ‘Essré (preghiera formulata nel più assoluto silenzio) vi dovrebbe anche essere possibile dedicare i pensieri alla Torà e alla preghiera quando siete per strada!» (Rebbe Maharash, Sefer Hatoledòt, 69).
(Saggio basato su Likuté Sichòt vol I, p 60-63. Pubblicato in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal).
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