Nella parashà di Vayetzé si parla molto di pecore, la descrizione delle quali è molto precisa e dettagliata: alcune appartenavano a Lavàn, altre a Yaakov; ce n’erano di bianche, di nere, di chiazzate, di maculate e altre ancora. Yaakov arriva nella città di Charàn e come prima cosa vede numerosi greggi di pecore raggruppati intorno ad un pozzo; la seconda visione è Rachèl, il cui nome significa proprio “pecora”, che si trovava sul luogo come pastorella. Non trascorre molto tempo che Yaakov diventa a sua volta pastore, retribuito Lavàn affinché possa sposarne la figlia Rachèl. Si arrichisce dopo lunghi anni di lavoro, porta il gregge numeroso e la sua famiglia in terra Santa e lì presenta a suo fratello Esav un cospicuo dono composto essenzialmente da agnelli. Nella stessa parashà si legge anche del matrimonio di Yaakov con Lea e Rachèl e della nascita degli 11 dei suoi 12 maschi, i futuri capi tribù d’Israele.
Cosa dobbiamo imparare dal fatto che la nazione ebraica nacque in un ambiente in cui le pecore occupano un posto talmente preponderante?
Le metafore : “Appartengo al mio amato e il mio amato mi appartiene, è Lui che mi custodisce tra le rose” (Cantico dei Cantici 2:16). In questo verso è il popolo ebraico che parla, evocando il suo rapporto con Hashèm. “Egli è il mio pastore” (Salmi 80:1). “E tu, gregge Mio, gregge del Mio pascolo” (Midràsh Rabba). Lo stesso Midràsh paragona la nostra relazione con D-o a quella che potrebbe esistere tra padre e figlio, tra fratello e sorella, tra due fidanzati. Ciascuna di queste metafore rappresenta le diverse forme di questo rapporto: il profondo legame che c’è tra D-o e Israele, l’amore e l’affetto, la protezione Divina sul Suo popolo, l’immensa felicità che lo stesso popolo trae da D-o e via dicendo.
Ma cosa rappresenta la metafora del gregge e del suo pastore? Se si trattasse di sostentamento e protezione, questi sono elementi già presenti nella relazione padre-figlio. Quale unico e particolare aspetto nella nostra relazione con D-o può esprimersi conferendoci il titolo di “Sue pecorelle”?
La caratteristica principale di una pecora è la sua docilità e la sua obbedienza. Mentre il figlio obbedisce al padre perchè è si sente in soggezione di fronte alla personalità paterna, la pecora obbedisce in modo istintivo, in quanto la mansuetudine è nella sua indole. Questo è ciò che caratterizza anche il popolo ebraico: una sottomissione incondizionata, irrazionale e disinteressata al Creatore. La nazione ebraica è stata fondata in mezzo agli agnelli perchè la nostra abnegazione è il pilastro dell’ebraismo. Ovviamente, siamo anche Suoi figli, Sua moglie, Sua sorella, ma la “Torà” rafforza il concetto di pecora riferendo che quando Yaakov lasciò Charàn dopo vent’anni di lavoro, la sua ricchezza non consisteva solo nell’incommensurabile quantità di agnelli: “Possedeva molte pecore, molti domestici e domestiche, cammelli e asini”. Inoltre, è scritto che Lavàn lo remunerava in ovini e che il suo gregge si moltiplicava in modo eccessivo. Ma riguardo alle altre ricchezze, da dove provenivano? Rashi spiega che Yaakòv ”Aveva venduto i suoi animali ad un prezzo elevato e con il ricavato si era comprato tutto il resto”.
Spiritualmente, il patrimonio di Yaakòv non consisteva solo nella sua docilità e nell’annullamento di sé, ma anche in un grande coraggio e vigore. E la fonte di queste sue doti morali gli provenivano essenzialmente dalle sue pecore.
Essere ebreo significa studiare la saggezza Divina, coltivare un amore appassionato e un timore deferente nei confronti di Hashèm e sviluppare la capacità di diffondere la Sua parola in un mondo che ci è spesso ostile. Questi doveri richiedono una particolare forza mentale ed emotiva. Tali facoltà si appoggiano solo sulla nostra completa e cieca dedizione ad Hashèm, che trascende la ragione e l’emozione. La devozione per Hashèm nel popolo ebraico è istintiva, innata e spontanea.
Una religiosità vietata: Gli esegeti spiegano che i patriarchi osservavano tutte le leggi della Torà, sebbene essa non fosse stata ancora donata al popolo intero. Tuttavia, in questa parashà, Yaakòv sposa Rachèl dopo essere stato ingannato una prima volta, durante la cerimonia nuziale, dal suocero Lavàn che condusse sua figlia Lea invece di Rachèl sotto la chuppà.
Come mai Yaakòv sposò due sorelle nonostante ciò sia esplicitamente vietato dalla Torà? Yaakòv aveva dato la sua parola a Rachèl che aspettò sette anni durante i quali egli dovette lavorare per Lavàn al fine di poter chiedere la mano della figlia. Non mantenere la promessa avrebbe causato ad entrambi una grande sofferenza. Visto che le leggi della Torà non erano state ancora comandate al popolo d’Israele prima della rivelazione sinaica, Yaakòv non aveva nessun diritto di ritenere la sua estrema religiosità quale priorità assoluta, a scapito dei sentimenti di un altro essere umano.
Questo atteggiamento è una lezione per noi tutti. Le leggi della Torà sono eterne ed inequivocabili. La Torà è l’unica fonte di vita per un israelita, sia spiritualmente che fisicamente, ma ciò vale per le leggi emanate direttamente da essa. Se un individuo impone a se stesso ulteriori restrizioni, frutto della sua volontà, la sua scelta è più che degna di encomio solo se la applica per sé, senza coinvolgere gli altri. Se, invece, il suo modo di vivere rischia di nuocere ai membri della sua cerchia familiare e sociale, il suo comportamento è riprovevole. La considerazione dei sentimenti altrui deve sempre prevalere sui propri “valori”, anche quelli che un essere umano considererebbe come i più sacri.
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