La Parashà di questa settimana, Bo (“vieni”), narra la redenzione del popolo ebraico che esce dall’Egitto.

Questo tuttavia non avviene all’inizio della Parashà: quando le dieci piaghe sono ancora in corso il Sign-re manda Mosè dal Faraone con l’ennesima richiesta di libertà accompagnata dall’avvertimento riguardo alla piaga successiva.

“Vieni dal Faraone” dice D-o a Mosè. Stranamente, proprio la Parashà che ci racconta dell’esodo inizia con parole che sembrano attribuire una certa importanza al Faraone.

Quale lezione possiamo trarre da ciò?

C’è chi pensa che il modo ideale per risolvere i propri problemi e superare le difficoltà che disturbano i progressi religiosi e spirituali, sia di accrescere il bene e compiere quante più buone azioni.

Questo è indubbiamente giusto. Talvolta tuttavia si trascura un altro aspetto non meno importante, ossia di sradicare il male affinché non possa più riscrescere per nulla...

Il Sign-re disse quindi a Mosé “Vieni dal Faraone — vieni al suo trono, ove si manifesta in tutta la sua gloria”. A Mosé viene richiesto di cercare la radice e la fonte del male egiziano per umiliarlo e quindi annientarlo del tutto. Solo allora potrà avvenire l’esodo.

All’uomo di oggi, come a Mosè in passato, si richiede di cercare il nucleo dei propri desideri negativi, quello che gli arde nel cuore, e attaccarlo con tutta la forza. Se vi riuscirà, tutto il resto a un tratto gli sembrerà molto, molto più facile.
Basato sulle opere del Rebbe di Lubavitch