Il dettaglio più importante per la sicurezza della casa viene da D-o, ed è la mezuzà, un piccolo rotolo di pergamena che la Torà comanda di affiggere a tutti gli stipiti delle porte della casa. L’idea di mettere in mostra il nostro rapporto con D-o sugli stipiti ha origini molto lontane nel tempo, esattamente appena prima dell’esodo dall’Egitto. In quel frangente D-o ordinò ai nostri antenati di uccidere un agnello e aspergerne il sangue sugli stipiti delle loro case; questo avrebbe identificato la casa con il sangue come casa ebraica e il Signore sarebbe passato oltre tutte queste case durante la piaga della morte dei primogeniti egizi. La mitzvà del sangue sugli stipiti quindi protesse gli ebrei dalla piaga (Esodo 12:7, 13:22-23). La mezuzà rappresenta lo stesso concetto. I nostri Maestri hanno insegnato che quando un ebreo affigge una mezuzà, D-o protegge la casa da ogni male (vedi Talmùd, Avodà Zarà 11a), e sul retro della pergamena sono scritte tre lettere in ebraico: “shin” dalet”, “yud”, che compongono uno degli ineffabili Nomi di D-o, ma che sono considerate per tradizione l’acronimo di “shomèr daltòt Israèl”, “custode delle porte ebraiche”. Questa protezione non è soltanto una ricompensa per osservare il comandamento ma fa parte integrante del comandamento stesso: la mezuzà protegge le nostre case letteralmente. Ad esempio, se l’entrata è profonda, la pergamena viene messa nella parte esterna dello stipite, affinché l’aurea protettiva della mezuzà copra l’intera casa (Talmùd, Menachòt 33b). La mezuzà però contiene un messaggio più profondo della protezione in senso letterale. Lo stipite rappresenta l’accesso al “domicilio dell’io”. Per tutta la giornata abbiamo a che fare con gli altri: in strada, nei negozi, in mezzo al traffico, in ufficio… Quando finalmente arriviamo a casa la sera, non vediamo l’ora di entrare nel nostro dominio privato. Qui, non ci sono altri padroni, non dobbiamo preoccuparci di gestire colleghi, clienti e passanti sconosciuti. Qui, siamo noi stessi e facciamo quello che vogliamo. Lo stipite della nostra porta è l’ingresso del nostro mondo interiore, nostro esclusivo dominio. Però, è anche il luogo dove dobbiamo soffermarci per un momento su quello che noi siamo. Quando ci introduciamo nelle profondità della nostra anima ci chiediamo perché la sosteniamo, qual è il nostro scopo. Per cosa viviamo? Cosa ci dà la forza di andare avanti?

Questo e Questa

I Maestri insegnano che la parola stessa “mezuzà” risponde alla domanda; essa contiene le due parole in ebraico “zu” e “ze”. Entrambe vogliono dire “questo”, la prima nella forma femminile e la seconda nella forma maschile. Il rapporto del popolo ebraico con D-o è spesso espresso in termini di sposa e sposo; quando la Torà parla di noi, usa la forma femminile, come nel verso “am zu yatzàrti li” “Ho formato questo popolo per Me” (Isaia 43:21), e quando parla di D-o usa la forma maschile “ze”, come nell’espressione “ze E-li”, “questo è il mio D-o” (Esodo 15:2). Quando passiamo davanti alla mezuzà e la baciamo, ci soffermiamo a riflettere sulle parole scritte nella pergamena. Il primo verso è l’inizio dello Shemà (Ascolta, Israele, il Sign-re è nostro D-o, il Sign-re è uno” – Deuteronomio 6:4), che rappresenta la missione dell’ebreo e dell’umanità: il Sign-re è il nostro D-o, non è un’entità astratta nei cieli ma è qui con noi. Adesso che finalmente siamo a casa, ci rendiamo conto che non siamo mai veramente soli, D-o è sempre con noi. Ci ha creati, ci dà la forza di andare avanti ed è la nostra ragione di vita. Siamo vivi per compiere i Suoi comandamenti; abbiamo tempo per noi stessi per poter studiare la Torà; abbiamo denaro a sufficienza per poter aiutare i più poveri; abbiamo una casa per poter crescervi i figli, la generazione successiva di ebrei osservanti.

La Porta

“Dèlet” in ebraico significa “porta”, ed è legata alla parola “dal”, che può significare sia “impoverito” sia “elevato”. La porta è l’interfaccia tra la nostra casa e il mondo esterno, e tra noi e D-o. Si affigge la mezuzà solo all’entrata di un domicilio destinato agli uomini; solo gli uomini infatti possono essere ricettori della benedizione Divina. Prima di riconoscere il nostro rapporto con D-o siamo spiritualmente poveri, ma una volta capaci di legarci alla Divinità, ci eleviamo a grandi altezze. E quando l’uomo si innalza, D-o si abbassa verso di lui. Con la liberazione dall’Egitto si è arrivati alla totale trascendenza, quando D-o “passò oltre” le porte. La porta rappresenta il punto di interfaccia tra D-o e l’uomo; passare oltre la porta è un dono che D-o elargisce di Sua volontà, non richiesto e non indotto. Non è commisurato al nostro sforzo ed è al di sopra della nostra portata; è un regalo dall’Alto.

Di Lazer Gurkow, chabad.org