Dopo la colpa del vitello d’oro, Mosè implorò con calore affinché D-o perdonasse il popolo di Israele ed il Sign-re concesse il suo perdono.
Tuttavia a Mosè non bastò e chiese ancora: «Come potranno comprendere in modo tangibile le nazioni della terra che Tu hai concesso il perdono al popolo di Israele?»
E D-o rispose: «Che il popolo di Israele mi costruisca un Santuario. Là mi offriranno sacrifici che Io accetterò. Questa sarà la prova pubblica del mio rinnovato amore per il popolo di Israele».
Sebbene il precetto della costruzione del Santuario nel deserto sia stata comandata dopo il peccato del vitello d’oro, la Torà la riporta prima (secondo alcuni Maestri, Midrash Lekach Tov; Zohar su Vayakhel, il precetto fu dato immediatamente dopo che il popolo pronunciò: Faremo e ascolteremo). Infatti le porzioni di Torà, lette settimanalmente, nelle quali sono date le istruzioni relative al Mishkan sono Teruma e Tetzavé che precedono quella di Ki Tissa nella quale è narrato l’episodio del vitello d’oro.
La Torà inverte, in questo caso, l’ordine cronologico per insegnare che il Sign-re prevede e predispone la riparazione per un peccato prima ancora che esso sia commesso. D-o, ovviamente, sapeva che il popolo avrebbe costruito il vitello, e proprio per questo prima ancora che ciò avvenisse concepì l’idea della costruzione del Santuario nel deserto. A causa del peccato dei figli di Israele, la Shechinà, la Presenza Divina, si sarebbe ritirata verso i cieli, ma grazie al Mishkan e al servizio che vi si sarebbe svolto per il Sign-re, la Presenza Divina sarebbe tornata sulla terra.
Nell’udire le parole di D-o: «Ed essi mi costruiranno un Santuario e Io risiederò in mezzo a loro» Mosè rimase molto stupito.
«Come sarà mai possibile che Tu risieda nell’umile e piccola dimora che noi ti costruiremo, dal momento che la tua Gloria riempie i cieli e la terra?».
Il Sign-re rispose: «Ma non desidero l’intero Mishkan come luogo in cui manifestare la mia presenza. Io limiterò la mia Shechinà nell’area di un'amà, lo spazio dell’Aron». Di fatti la Presenza Divina stava nella parte più santa del Mishkan, l’Aron Hakodesh, l’Arca Santa.
D-o, nel suo grande amore per i figli di Israele, restrinse la sua Presenza all’Arca Santa per risiedere sempre in mezzo al popolo, come un padre circondato dai suoi figli.
L’Arca sarebbe servita a contenere le Tavole della Legge, la Testimonianza, che il Sign-re consegnerà a Mosè e sarà il simbolo dell’unione tra D-o e il suo popolo custodendone il Patto, ancora simboleggiato dalle Tavole della Legge, e rappresentando il luogo dove il profeta ascoltava la voce di D-o. L’Arca identifica quindi il punto di contatto tra uomo e D-o e sarà collocata all’interno del Tabernacolo (Mishkàn), il Santuario portatile che seguì gli ebrei nel loro girovagare nel deserto e poi nella conquista della Terra promessa.
Custodita nel Kòdesh Hakodashìm, il Santo dei Santi – la parte più interna del Mishkàn prima e poi del Santuario di Gerusalemme (Bet Hamikdàsh) –, l’Arca viene identificata come la sede della Shechinà, la presenza divina sulla terra. Ogni anno il Kohèn Gadòl, il Sommo Sacerdote, nel giorno di Kippùr si presentava al Santo dei Santi, quindi di fronte all’Arca, e invocava il perdono per tutto il popolo. Solo il Sommo Sacerdote, e solo in questo giorno, poteva varcare la tenda che divideva il Kòdesh, il Santo (l’atrio in cui si trovavano il tavolo per i Pani di Presentazione, la Menorà e l’Altare d’Oro dove si bruciavano gli incensi) dal Santo del Santi.
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