Nella Parashat Terumà (Esodo, cap. 25-27, nel già citato passo di 25, 10-22) troviamo le indicazioni date dal Sign-re per la costruzione del Mishkàn e in particolare per quella dell’Arca. I Maestri osservano che vi è un ordine ripetuto due volte rispetto alla collocazione della “Testimonianza” nell’Arca: nel versetto 25, 16 (Depositerai nell’Arca la Testimonianza che Io ti consegnerò) e 25, 21 (Metterai il coperchio al disopra dell’Arca dopo aver depositato nell’Arca la Testimonianza che Io ti darò).

A una lettura più attenta del passo, ci si accorge che può essere suddiviso in due parti. In genere, la Parashà Terumà prima descrive l’oggetto “contenitore” che farà parte del Mishkàn e poi quelli che vi saranno contenuti. Invece, nel caso dell’Arca è nominata la “Testimonianza” prima che sia finita la descrizione del suo contenitore. Infatti, il coperchio e i cherubini compaiono negli ultimi versetti del passo. Inoltre, per quanto riguarda i cherubini, su cinque versetti sono associati al coperchio ben quattro volte:

Farai due cherubini d’oro; li fabbricherai tutti d’un pezzo alle due estremità del coperchio (25, 18); un cherubino dall’estremità di una parte e l’altro dal lato opposto del coperchio stesso […] (25, 19); […] avranno le ali spiegate verso l’alto, dominando con le loro ali il coperchio […] parlerò con te al disopra del coperchio fra i due cherubini […] (25, 22).

Il passo sembra perciò diviso distintamente in due parti: nella prima si parla dell’Arca senza menzionare i cherubini (25, 10-16), mentre nella seconda i cherubini sono strettamente associati con il coperchio (25, 17-22). Si può quindi ipotizzare che, dividendo in due parti le istruzioni per la costruzione dell’Arca, si vogliano indicare due distinti ruoli dell’oggetto stesso.

La principale funzione dell’Arca consiste nel contenere le Tavole della Legge e il Sefer Torà1. Ibn Ezra afferma che, come un cofanetto o salvagioie forgiato in metallo prezioso per distinguerlo da altri contenitori ad uso domestico, era fatta d’oro per valorizzare gli oggetti che vi sarebbero stati racchiusi. I Maestri ribadiscono varie volte che l’Arca era preposta ad accogliere la “Testimonianza” come sua funzione primaria: da qui il suo primo appellativo di Arca della Testimonianza (Esodo, 25, 22; 26, 33-34; 30, 6. 26; 39, 35; 40, 3. 5. 21). Bisogna tenere sempre presente che il Tabernacolo e tutte le sue suppellettili avevano un significato e un valore simbolico, rimandando costantemente ai principi morali ed etici dell’ebraismo. Ogni ebreo, come un Tabernacolo vivente, deve sempre portare scolpite nel cuore (la sua Arca) le parole che D-o aveva scritto sulle Tavole di pietra e gelosamente custodite. Le disposizioni per la costruzione dell’Arca acquistano in questa prospettiva la luce vera: il manto d’oro che l’avrebbe ricoperta sia esternamente che internamente, e la ghirlanda d’oro puro posta sulla sua sommità simboleggiano che il nostro comportamento deve essere puro come l’oro. Infatti, i nostri Maestri ci insegnano come non sia sufficiente rispettare le pratiche religiose se ad esse non si accompagna un comportamento irreprensibile. Inoltre la ghirlanda d’oro rappresenta l’intelletto, la gloria dell’essere umano cui dà la possibilità di sviluppare pensieri creativi e che, se non è puro come l’oro, sarà offuscato, quindi incapace di svolgere la sua funzione o indirizzare rettamente le azioni.

Il Mishkàn – e in seguito il Bet Hamikdàsh – era considerato il luogo di più alta sacralità poiché rappresentava la presenza divina nel mondo; l’Arca fungeva quindi anche da Trono di Gloria (Kissé Hakavòd) in miniatura, corrispondente a quello celeste. Sia Chananèl, sia Ràmban, sia Chizkùni propongono questa associazione basandosi su Bemidbàr Rabbà 4, 13.

Nel Tanàkh2
infatti, come vedremo nel prossimo capitolo, l’Arca simboleggia la presenza del Sign-re nelle circostanze chiave che porteranno Israele alla conquista della Terra promessa. I suoi due ruoli indicano dunque la relazione simbiotica esistente fra Torà all’interno e Shechinà, che si manifestava sul coperchio fra i due cherubini, caratteristica del Bet Hamikdàsh stesso e per questo fu dato due volte il comando di inserire le Tavole nell’Arca.

Secondo J. Kauffmann (cit. in D. Lattes, Nuovo Commento alla Torà, Carucci, Roma 1986) “l’Arca è un ripostiglio e non la dimora della divinità. I cherubini sono addetti alla custodia non del D-o, che non abita nell’Arca, ma delle tavole che ci sono dentro. Essi simboleggiano il carro celeste, il trono di Dio e il cocchio sul quale Egli compare nel mondo quale Re e Sign-re. Il motivo pagano della custodia della divinità si è mutato nel motivo ebraico della custodia del patto di Dio (Toled. Haemunà, IV, 82-83)”. I cherubini quindi, a loro volta, avrebbero due compiti: “1° quello di rappresentare il trono dell’invisibile divinità per cui si dice che Dio siede sui o fra i cherubini (I Samuele, IV, 4; II Samuele, VI, 2; Salmi LXXX, 2; XCIX, 1), trono presso il quale veniva dato convegno a Mosè ogni qualvolta doveva esser investito di una missione verso il popolo, per cui il Tabernacolo è chiamato Ohel moèd, tenda del convegno; 2° quello di custodire e di difendere il sacro deposito della Parola di Dio, contenuto nelle Tavole della Legge” (D. Lattes, Nuovo Commento alla Torà, cit.). Alcuni infine considerano i cherubini come il simbolo delle nubi celesti, ancora simili al cocchio divino. Troviamo la comparsa di D-o in una “nube” in Esodo 33, 7-11 e Levitico 16, 2; durante le peregrinazioni nel deserto e nelle battaglie contro i nemici D-o viaggiava in una “nube” sopra gli ebrei per proteggerli (Esodo 13, 21; Numeri 10, 34 e 14, 14 ).

Anche se tradizionalmente i cherubini sono rappresentati come due angeli con il viso da bambino (attribuitogli dal Talmùd), con certezza si sa soltanto che avevano le ali. Erano sicuramente figure familiari nella tradizione popolare poiché compaiono senza nessun connotato anche in Genesi, dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, messi da D-o a guardia della via che portava all’albero della vita (3, 24). Però in Ezechiele (10, 20) sono chiamate kerùv le fiere che sostengono il carro divino e sul quale si trova il trono della gloria. Nella teofania del capitolo 1 sono raffigurate come fiere alate dai quattro volti – di uomo, leone, bue ed aquila –, rappresentazione materiale dei venti che soffiano e trasportano le nubi del carro celeste (cf Salmi XVIII, 11).

Se i cherubini possono essere assimilati al trono celeste, allora l’Arca è il poggia piedi di D-o. Forse per questa ragione le Tavole della Legge furono messe proprio nell’Arca, in sintonia con il costume prevalente all’epoca di deporre i documenti che ratificavano i patti fra regni “ai piedi” dei rispettivi dei, eleggendoli così a custodi e garanti dei patti stessi.

D-o aveva severamente proibito di toccare l’Arca e di guardarla, pena la morte (Numeri, 4, 15, 19, 20); poteva essere portata esclusivamente a spalla e dai leviti (Deuteronomio 10, 8). In Levitico 16, 2 e 13 troviamo ancora le indicazioni che il Sign-re dà a Mosè per Aròn “affinché non muoia” nel servizio divino. A questo proposito ricordiamo l’episodio di I Samuele 6, 19 in cui gli abitanti di Bet Scèmesh, dopo aver guardato l’Arca, furono puniti con la morte di settanta di loro o quello – riportato in II Samuele 6, 3-7 – della morte di ‘Uzzà. Quando Davìd ordinò di prelevare l’Arca da Kiryàth Ye’arìm dove si trovava dal tempo dei Giudici, per trasferirla a Siòn, fu caricata su un carro trainato dai buoi e guidato da ‘Uzzà. Arrivati all’aia di Nachòn, località che si trova fra Kiryàth Ye’arìm e Gerusalemme, ‘Uzzà tese il suo braccio verso l’Arca di D-o e l’afferrò perché i buoi avevano deviato. Il Sign-re si accese d’ira contro ‘Uzzà, e lo colpì per la sua colpa; egli morì presso l’Arca di D-o.; nel Talmùd Yomà (7, 4) è riportato come all’epoca del secondo Tempio, quando l’Arca non era ormai più nel Santo dei Santi, per celebrare la circostanza d’esserne uscito in pace il giorno di Kippùr ancora il Sommo Sacerdote era solito dare una festa.

Bisogna infine notare che l’Arca viene chiamata in modi diversi, nel Tanàkh, a seconda del contesto in cui viene nominata. Ricapitolando:

1) Arca della Testimonianza – eidùt –come in Esodo 25, 22; Giosuè 4, 16;

2) Arca dell’Alleanza o Patto – berìt –, o del Patto del Sign-re come in Numeri 10, 33; Giosuè 3; 4, 7; 4, 18; Giudici, 20, 27 I Samuele 4, 5;

3) semplicemente Arca – aròn – come in Giosuè 3, 15 e 4, 10; I Samuele 7, 2;

4) Arca del Sign-re o del D-o di Israele come in Giosuè 4, 11; I Samuele da 4, 6 a 7, 1;

5) Arca del Sign-re Iddio come in I Re 2, 26;

6) Arca santa – hakòdesh – come in II 2 Cronache 35, 3.

(Tratto da: L’Arca dell’Alleanza, Lulav 2000).