Da questa parashà fino alla fine del Libro dell’Esodo la Torà descrive, per esteso e nei minimi dettagli, la costruzione del Mishkàn, il primo luogo collettivo di culto del popolo ebraico. Per ciascuno dei sacri oggetti vengono date precise istruzioni (dai tendaggi alle assi ai singoli oggetti) e ne sono riportate anche le esatte dimensioni (ad esempio: “Tutti gli undici tendaggi devono essere grandi uguali – 30 cubiti di lunghezza e 4 cubiti di larghezza…” e così via per ogni singola componente del Tabernacolo – vedi Esodo 26:1-16). Perché abbiamo bisogno di sapere le esatte misure del Tabernacolo? Non era destinato a funzionare per l’eternità? Anzi, a dir la verità era il Tabernacolo portatile del deserto per quarant’anni, poi sostituito dal Tempio di Gerusalemme che era un edificio ovviamente di tutt’altre dimensioni. Inoltre, non è forse fuorviante l’idea in sé di una determinata grandezza per la casa della Shechinà, la Presenza Divina? Un D-o trascendente non può essere racchiuso in uno spazio, come disse il Re Salomone: “Anche i cieli pii alti non possono contenerTi” (I Re 8:27; vedi anche Isaia 66:1)! Nessuno spazio fisico, per quanto grande o immenso, può essere abbastanza grande, e nemmeno troppo piccolo, come racconta il seguente Midràsh. “Quando D-o disse a Moshè ‘Fammi un tabernacolo’, Moshè disse, meravigliato: ‘La Gloria del Santo Benedetto riempie i cieli e la terra, ed Egli mi comanda di fare un tabernacolo?’ D-o rispose: ‘Non penso come dici tu. 20 assi a nord, 20 a sud e 8 ad ovest sono sufficienti. In realtà Io discenderò e confinerò la Mia presenza entro un cubito quadro di spazio’” (Shemòt Rabbà 34:1). Che differenza faceva se il Mishkàn era grande o piccolo? Era un simbolo, una concentrazione della presenza Divina che si trova ovunque un uomo apra il suo cuore a D-o.

Le Misure dell’Universo

Gli scienziati contemporanei spiegano che l’universo è formato da sei costanti matematiche che, se variassero anche solo di un milionesimo o trilionesimo di grado, ne risulterebbe nessun universo o per lo meno nessuna vita. Se la forza di gravità fosse anche solo leggermente diversa, ad esempio, l’universo si espanderebbe o imploderebbe in maniera tale da precludere la formazione di stelle e pianeti. I commentatori della Torà hanno evidenziato che il lessico della costruzione del Tabernacolo è lo stesso usato per descrivere la Creazione del mondo; questo significa che il Mishkàn era, come è noto, un microcosmo. Il fatto che lì risiedeva la Shechinà non stava a significare che D-o si trovava lì e non altrove; era un segno, potente e tangibile, del fatto che D-o esiste attraverso tutto il cosmo. Era quello che lo Shabbàt rappresenta nella sfera del tempo: un segno della creazione.

La Saggezza

Il termine “saggezza” ricorre molte volte nel racconto della costruzione del Tabernacolo, e in questo contesto significa “artigianato di precisione” (vedi Maimonide, Guida ai Perplessi III:54). Anche nel passo in cui D-o ordina a Nòach di costruire un’arca viene data enfasi alle esatte dimensioni, e la ragione è simile a quella del Mishkàn. L’arca simboleggiava il mondo costruito secondo l’ordine divino che gli uomini avevano rovinato con la violenza e la corruzione. D-o stava per distruggere questo mondo mantenendone solo Nòach, l’arca e ciò che essa conteneva, come simbolo delle vestigia di quell’ordine, sulla base delle quali D-o forgiò un nuovo ordine. La precisione e l’ordine contano. Se anche solo poche delle 3,1 bilioni di lettere nel genoma umano mutasse, ciò avrebbe conseguenze genetiche devastanti. Un battito di ali di farfalla da qualche parte nel mondo può causare uno tsunami da un’altra parte: questo è il messaggio del Mishkàn. Questo significa estrema attenzione ai dettagli di quello che diciamo e che facciamo. C’è una precisa coreografia della vita morale e spirituale e c’è una precisa architettura del Tabernacolo, e la Torà ci vuole insegnare che questi esatti criteri vanno applicati anche al comportamento dell’uomo, poiché sono i dettagli che fanno la differenza.

Di Rabbi Jonathan Sacks, chabad.org