In genere la Torà parla in termini di sistemi duali: Cielo e Terra, Uomo e D-o ecc. Dove s’incontrano i due elementi, e cosa succede in questo caso? La prima descrizione di un simile luogo d’incontro è data da Giacobbe. Durante il suo viaggio fuori dalla terra di Canaan, si fermò a dormire e sognò la scala con i messaggeri di D-o che salivano e scendevano. Quando si svegliò, disse: “Y-H-V-H ]noi pronunciamo ‘Havaye’ poiché è proibito pronunciare le quattro lettere del Nome così come sono scritte] si trova in questo luogo, e io non lo sapevo!” Ebbe timore e disse: “Com’è temibile questo luogo. Non può essere altro che la casa di Elokìm e questo è il cancello del Cielo!” (Genesi 28:16-17). Esattamente in questo luogo il Re Salomone eresse il Bet Hamikdàsh e mise l’Arca Santa sulla pietra dove poggiava il capo di Giacobbe mentre lui dormiva.

In base alle misure riportate nella torà, il locale del Santo dei Santi, Kòdesh Hakodashìm, misurava 20 cubiti per venti cubiti. L’Arca, contenente le Tavole del Patto, si trovava al centro, e misurava due cubiti e mezzo per due cubiti e mezzo. Tra il muro a sud del locale e il lato adiacente dell’Arca c’erano dieci cubiti, e così anche dalla parte del muro nord. Ne risulta che l’Arca non occupava nessuno spazio.

20 cubiti

10 cubiti 2,5 cubiti 10 cubiti

Questo fenomeno potrebbe essere spiegato semplicemente come un miracolo, ma possiamo spingerci più in profondità.

Ancora oggi si crede che le forze naturali siano assolutamente necessarie. Un mondo senza gravità o onde elettromagnetiche, senza spazio, tempo e logica è impensabile.

Potremmo considerare che la nostra idea e comprensione di “spazio” non corrispondono esattamente a quello che è lo spazio. Possiamo riconoscere che esiste anche una dimensione di non spazio. Lo stesso D-o che ha creato un mondo limitato da tempo e spazio, può anche aver creato qualcosa di completamente diverso, anche se non afferrabile dalla nostra mente.

Nel brano della Genesi che descrive la Creazione del mondo, come appellativo di D-o viene usato il Nome Elokìm, che esprime D-o in quanto Forza motrice della natura. È D-o Immanente, espresso in termini di spazio e tempo.

L’essenza di tutto però è qualcosa che va oltre, e che non è possibile “definire”. Il Nome Havaye esprime D-o Trascendente, al di là del conosciuto: “Io sono Havaye, non sono cambiato”; al di là di spazio, tempo e di qualsiasi logica siamo in grado di applicare. I miracoli, la Torà e gli Tzadikìm (i Giusti) sono la manifestazione di Havaye nel mondo, la Cui rivelazione spazza via tutte le limitazioni, proiettando l’esistenza in un’altra dimensione. Il fenomeno dell’Arca apparterrebbe allora alla sfera di Havaye. Ma come facevano le due dimensioni – quella della limitazione spaziale e quella del non spazio – a coesistere nel Kòdesh Hakodashìm senza annullarsi a vicenda? Come facevano ad essere compresenti, una nell’altra?

In realtà D-o è unico. Ogni appellativo con cui noi Lo chiamiamo esprime un Suo attributo, ma Egli è Unico ed Onnicomprensivo. Si esprime sia come spazio che come non spazio, ma Egli non è né l’uno né l’altro; è qualcosa al di là di entrambi. Giacobbe si trovava in un luogo che esprimeva l’essenza della Torà: il punto d’incontro delle due espressioni di D-o, Havaye ed Elokìm.

Nonostante il mondo sia binario (luce/buio, femminile/maschile ecc.), esiste una terza dimensione che unisce tutti gli opposti, perfino quelli che si elidono a vicenda come lo spazio e il non spazio. È la dimensione del Santo dei Santi, che ricomparirà nel Terzo Tempio, possa essere ricostruito prima di quello che la nostra concezione limitata del tempo può farci immaginare.

Di Tzvi Freeman, per concessione di chabad.org