I nostri Saggi insegnano che il Bet Hamikdàsh (Tempio) rapresentava un "modello tridimensionale "dell’archittettura spirituale dell’anima. Il Tempio includeva diversi androni e stanze, nonché svariati utensili, con precise funzioni, ognuno corrispondente ad un elemento particolare della vita interiore dell’uomo. La Menorà, il candelabro d’oro a sette bracci che veniva acceso ogni pomeriggio, rappresenta il potenziale umano “di accendere i lumi”, cioè di generare potenze fulgenti all’interno dell’essere, negli altri e nelle proprie risorse. L’ottavo capitolo del Sèfer Bamidbàr (Numeri) si apre con l’istruzione impartita da Hashem (D-o) ad Aharòn (Aronne. Primo Sommo Sacerdote e fratello di Mosè N.d.T.): “Quando eleverai i lumi, essi irradieranno la loro luce innanzi alla Menorà”. Nel suo commento, Rashi si dilunga sull’uso del termine “Behaalotehà” che significa “Quando eleverai”. Per quale ragione la Torà ricorre a questo inconsueto sinonimo del verbo “accendere”? Rashi spiega, appunto, che la Torà si riferisce alla naturale tendenza della fiamma ad orientarsi verso l’alto e alla quale è stato conferito il compito di indurre il Cohèn, (sacerdote) incaricato dell’accensione dei lumi della Menorà, a mantenerne acceso il fuoco sullo stoppino fino a quando esso “si innalza da sé”. Le tre parole « Shalhévèt Olah Méhéléha - La fiamma s'innalza da sé” racchiudono tre principi essenziali derivanti dalla Menorà:

1. “Shalhèvet”. È una fiamma vivente, che diffonde luce. Analogamente, l’essere umano può essere una candela senza Shalhèvet e raggiungere gradi di perfezione personale. Ma lo scopo della vita è di risplendere; pertanto, l’uomo ha la medesima incombenza: anch’egli deve illuminare, tramite le sue predisposizioni, l’ambiente che lo circonda.

2. “Innalzarsi”. Qual è il senso profondo di tale aspirazione verticale? Una fiamma cerca sempre di staccarsi dallo stoppino. L’anima umana si comporta in maniera identica. Essa è costantemente attirata verso l’alto e, per raggiungere la sua agognata meta, tenta di svincolarsi dal corpo fisico che la tira verso il basso. Questo è il secondo messaggio della Menorà: la vita non è solo una fiaccola dalla posizione statica ed immobile ma, anzi, si agita e si contorce verso l’alto, mossa dall’impaziente brama di progredire. La nostra essenza,” la Luce Divina”, esige da noi un perenne desiderio a spezzare le catene del nostro status prettamente materiale al fine di accedere a sfere più elevate.

3. “Da sé”. Un lume non può accendersi da sé: ha bisogno del fuoco, di una fonte di energia esterna che lo aiuti a scaturire scintille. Ma l’obiettivo da raggiungere è che esso s’innalzi da sé, tramutandosi in una sorgente luminosa indipendente. Quando “agiamo come lampionai”, che sia nell’intento di attivare i nostri potenziali o quelli altrui, il nostro obiettivo è di rendere il lume interiore capace di elevarsi da sé.

Per quanto concerne i nostri progressi personali, il messaggio è chiaro. Non basta prendere decisioni imponendo a noi stessi, con la risolutezza della volontà, cambiamenti radicali. Si dovrebbe, invece, agognare ad un mutamento delle nostre inclinazioni come se queste facessero parte della nostra indole. Quando si inculcano nuovi concetti morali al nostro prossimo, bisogna mirare a renderlo autonomo, affinchè egli sia in grado di attingere vigore da se stesso e far in modo che le sue doti siano spontanee ed istintive. Ci si deve adoprare a rendere la sua luminescenza autosufficiente e trasformarla a sua volta in fonte di luce per gli altri.